Sentenza del TAR Sardegna sul condono edilizio

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Commissario Maigret
00lunedì 16 febbraio 2004 16:02
Sia gli effetti, sia soprattutto le finalità perseguite dal legislatore statale, dimostrano che la disciplina del condono edilizio attiene anche ad una materia che può essere definita come “finanza pubblica statale”, e che nel nuovo testo dell’articolo 117 Cost., come sostituito dall’articolo 3 comma 1 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, viene indicata con la espressione “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, e collocata tra le ipotesi di legislazione concorrente dal terzo comma del citato articolo 117.

Lo ha stabilito il Tar Sardegna, con l'ordinanza n° 70 del 9 febbraio 2004, accertando l’applicabilità anche in Sardegna, regione a Statuto speciale, dell’articolo 32 del D.L. 269/2003, in base al quale sino alla scadenza del termine per la presentazione della domanda di sanatoria, sono sospesi i procedimenti amministrativi e la loro esecuzione.

Il Giudice ha precisato che la scelta del Legislatore non è quella di sanare gli abusi, accettando le conseguenze finanziarie, ma quella di procurarsi le risorse finanziarie subendo gli effetti del condono.

Commissario Maigret
00lunedì 16 febbraio 2004 16:04
TAR Cagliari, ordinanza 09.02.2004 n° 70

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER LA SARDEGNA

CAGLIARI

SEZIONE PRIMA

Registro Ordinanze: 70/2004

Registro Generale: 1557/2003

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 17 Dicembre 2003

Visto il ricorso 1557/2003 proposto da:

P.P.

rappresentato e difeso da: CORDA PIERO

G.A. con domicilio eletto in CAGLIARI VIA G. DELEDDA N.39 presso CORDA PIERO

contro

COMMISSARIO STRAORDINARIO DEL COMUNE DI PULA

rappresentato e difeso da:

CROCE' PAOLO

con domicilio eletto in CAGLIARI

VIA DANTE N.19

presso CANNAS ANDREA PASQUALE

RESPONSABILE AREA TECNICA COMUNE DI PULA, non costituito;

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,

dell’ordinanza di sospensione dei lavori, prot. 15893 del 27 ottobre 2003, n. 129 del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pula;

del provvedimento di demolizione prot. n. 16753 del 8 novembre 2003 del medesimo Responsabile;

della determinazione del Responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 17868 del 1.12.2003, con la quale è stato comunicato il rinvio della demolizione al 5.12.2003;

di ogni altro atto presupposto connesso e conseguente

Visto il ricorso, con i relativi allegati, e la contestuale domanda cautelare;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di: COMMISSARIO STRAORDINARIO DEL COMUNE DI PULA

Visti gli atti tutti della causa;

Udito il relatore Cons. SILVIO IGNAZIO SILVESTRI e uditi gli avvocati Piero Corda Silvia Maria Caboni, su delega, per il ricorrente e l’avvocato Paolo Crocè per l’amministrazione resistente;

FATTO E DIRITTO

Il ricorso è volto avverso un provvedimento sanzionatorio di un abuso edilizio pertanto occorre verificare se nel caso di specie trovino applicazione le norme in materia di condono edilizio introdotte dall’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito con la legge 24 novembre 2003 n. 326, che estende alle opere edilizie abusive, ultimate entro il 31 marzo 2003, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47.

E’ stata negata l’applicabilità di questa normativa nel territorio dell’Isola con atti formali provenienti dalla Regione Autonoma della Sardegna: con circolare n. 2315/D.G.del 27 ottobre 2003 il direttore generale dell’Assessorato per l’urbanistica sostiene infatti che tale articolo 32 (erroneamente indicato come “comma 32”) “non trova immediata applicazione in Sardegna in ragione della specialità del suo statuto”; tanto che nella stessa norma è contenuta l’espressione “sono in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale” (articolo 32 citato, comma 4).

La tesi dell’Assessorato e del Comune resistente non è condivisa da questo Tribunale, per una serie di argomenti che si espongono:

sul valore dell’argomento letterale

già l’articolo 1, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 conteneva identica espressione, del resto comune a molti interventi legislativi che interferiscono con materie attribuite alle competenze delle Regioni a statuto speciale.

L’articolo 39 comma 21 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che riapriva i termini del condono, prevedeva l’inapplicabilità dei precedenti commi (e quindi, in sostanza, del nuovo condono) alle regioni con autonomia speciale, “se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti delle stesse….ad esclusione di quelle relative alla misura dell’oblazione ed ai termini per il versamento di questa”.

Eppure, essendo intervenute con ritardo le leggi regionali di recepimento, non è stato mai sollevato il problema della immediata applicazione della normativa statale.

Di per sé, far salve le competenze non esprime affatto inequivoca volontà di limitare l’ambito di applicazione della legge. Un significato diverso, e più coerente sul piano sistematico, anche per gli argomenti che di seguito saranno indicati, è senz’altro consentito: il legislatore statale riconosce alla Regione Autonoma il proprio potere legislativo nell’ambito della disciplina introdotta; con la conseguenza che questa potrà prevedere una disciplina differente, integrativa o modificativa, per il proprio territorio.

Questa lettura consente tra l’altro di inquadrare meglio nell’ambito dei rapporti tra legislazione statale e regionale l’esclusione prevista dal comma 21, dell’art. 39 riportato tre capoversi più sopra.

Sul piano sistematico, poi, risulta evidente che nell’ambito di una manovra finanziaria anche le regioni autonome non potranno modificare la entità della oblazione, perché ciò influirebbe sul risultato di bilancio; e neppure spostare i termini per il versamento, considerando che le previsioni di bilancio devono essere temporalmente definite nel programma finanziario.

La “materia” del condono.

L’art 3, lett. f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) assegna alla Regione potestà legislativa per la materia edilizia ed urbanistica.

Lo stesso articolo prevede, al primo comma, che tale potestà venga esercitata nel rispetto degli interessi nazionali e dei principi fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.

La potestà viene detta “esclusiva” perché non trova l’ulteriore limite dei “principi stabiliti con le leggi dello Stato”, limite invece riguardante le materie indicate nel successivo articolo 4.

Il problema in esame richiede anzitutto una definizione della materia interessata dalle norme sul condono.

È facile dimostrare che esse non possono venire tutte incluse nell’ambito di una sola materia.

Sia gli effetti, sia soprattutto le finalità perseguite dal legislatore statale, dimostrano che la disciplina del condono attiene anche ad una materia che può essere definita come “finanza pubblica statale”, e che nel nuovo testo dell’articolo 117 Cost., come sostituito dall’articolo 3 comma 1 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, viene indicata con la espressione “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, e collocata tra le ipotesi di legislazione concorrente dal terzo comma del citato articolo 117.

Per altro verso, il secondo comma lettera e), assegna alla legislazione esclusiva il sistema tributario e contabile dello Stato, e la perequazione delle risorse finanziarie.

Non convince la tesi secondo cui tutte le materie hanno un riflesso finanziario, ma restano comunque definite dagli specifici interessi pubblici del settore relativo; in questo caso il significato finanziario della legge non è soltanto una conseguenza, ma la ragione ispiratrice.

Il Governo prima, e il Parlamento in sede di ratifica, hanno chiaramente inteso includere i proventi del condono nel bilancio dello Stato, proventi che sono necessariamente connessi alla sanatoria delle opere abusive, e che giustificano la sanatoria stessa nell’economia degli interessi pubblici complessivi.

La scelta non è quella di sanare gli abusi, accettando le conseguenze finanziarie, ma quella di procurarsi le risorse finanziarie subendo gli effetti del condono.

Inoltre, la sanatoria influisce in modo diretto, e specificamente regolato dalla norma in discussione, sulla fattispecie penale e sulla tutela dell’ambiente, materie entrambe appartenenti alla legislazione esclusiva dello Stato.

La natura interdisciplinare dell’intervento legislativo è d’ostacolo a una soluzione interpretativa che ne limiti l’efficacia ad una parte, seppur consistente, del territorio nazionale. La sua inapplicabilità alle Regioni a statuto speciale ridurrebbe di tal misura la manovra finanziaria da renderla probabilmente inefficace, e comunque difforme dai dati revisionali indicati dal Governo.

Il regolamento delle materie miste.

La Costituzione non prevede nulla sul riparto delle competenze in questi casi.

Non sempre è possibile, ed il caso in esame lo dimostra, scindere le norme in relazione ai loro singoli effetti, sì da ottenere un riparto delle competenze in ragione delle materie.

Limitare gli effetti “edilizi” del condono preclude il risultato finanziario, perché il cittadino non versa il contributo previsto, se non per la regolarizzazione dell’abuso.

Anche l’effetto estintivo del reato diviene una realtà virtuale; nessuno infatti si autodenuncerebbe, al solo fine di sottrarsi alla (invero mite) sanzione penale, con la certezza di subire gli effetti, spesso più gravi, della sanzione amministrativa.

La dimostrata inscindibilità impedisce di attribuire “a ciascuno il suo”, ma postula una soluzione unitaria.

Questa necessità logica trova una implicita trama normativa nelle seguenti regole:

C1) articolo 127, secondo comma, della Costituzione.

Se una legge dello Stato viene considerata lesiva della sua sfera di competenza, la Regione interessata può promuovere questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale.

Il sistema indica quindi, come risultato dell’atto invasivo, non la conseguenza della sua inapplicabilità, bensì un sistema di tutela davanti alla Autorità arbitro dei conflitti.

Il breve termine previsto (60 giorni) è indicativo dell’esigenza che la legge sia comunque applicabile: per perseguire la certezza del diritto e per tutelare gli affidamenti che i cittadini ripongono sulla volontà del Parlamento, non è consentito un prolungarsi di situazioni potenzialmente confliggenti tra Stato e Regione.

C2) Principio di leale collaborazione. Richiamato dall’articolo 120 capoverso della Costituzione, ha valenza di regola generale; e sarebbe disatteso se una regione, anche nell’ambito di una sua potestà esclusiva, impedisse risultati di carattere economico finanziario che lo Stato intende perseguire in un più generale quadro il risanamento delle finanze pubbliche.

C3) Disvalore del silenzio. Chi detiene pubblici poteri ha l’obbligo di esercitarli con atti espressi, in ossequio ai principi di trasparenza ed efficienza. Se la Regione Sarda vuole impedire gli effetti della legge statale con il silenzio del suo Consiglio, non solo non esprime collaborazione, ma si sottrae a un dovere di lealtà.

C4) Principio di sussidiarietà. Come quello di leale collaborazione, esso si è sviluppato in sede comunitaria ed è oggi recepito nella nostra Carta, che lo prevede nella medesima norma (articolo 120). È mirato a soddisfare l’esigenza che una autorità provveda, ove quella competente resti inerte; letto al contrario, dovrebbe condurci a valorizzare l’efficacia di un atto della autorità di livello più generale, fino a che altre non provvedano sulla questione.

D) I precedenti della Corte Costituzionale.

Con la sentenza 256 del 10 luglio 1996, giudicando sul precedente condono la Corte ha disatteso l’opinione secondo cui sarebbe impedito agli enti competenti (Regioni, Province e Comuni) qualsiasi intervento di governo del territorio; richiamando due precedenti sue decisioni in termini, n. 416 e n. 427 del 1995. Ed ha anche rilevato la responsabilità di tali Enti nell’azione di controllo del territorio; con il condono lo Stato fissa dunque le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale.

Sebbene non riferita alla particolare problematica delle autonomie speciali, la decisione acquista significato alla luce della successiva 536 del 27 dicembre 2002 che invece riguarda proprio la nostra Regione, e una materia – la caccia - dove pure è investita di competenza legislativa esclusiva (art 3, lett. i, dello Statuto).

Una prima affermazione riguarda il permanere dei limiti statutari imposti alla competenza primaria dal citato articolo 3, riportati sotto il capo B), anche dopo la legge costituzionale n. 3 del 2002, il cui articolo 10 estende la riforma alle Regioni a statuto speciale per la parte più favorevole all’autonomia. Resta ferma quindi la necessità che siano rispettate le norme fondamentali delle riforme economico sociali.

Ma vi è di più: considerando il calendario venatorio come regola incidente sui valori dell’ambiente e dell’ecosistema, le relative norme riportano la competenza in via esclusiva alla potestà legislativa statale.

In questa decisione si afferma una sorta di assorbimento delle competenze regionali in quelle statali, proprio nel caso di materie “miste”.

La sentenza infatti ha dichiarato illegittima la legge regionale n. 5/2002, in quanto lesiva del principio espresso dalla normativa statale che limitava l’esercizio della caccia al 31 gennaio di ogni anno.

Queste citazioni sono, ad avviso del Tribunale, sufficienti a dimostrare una lettura del sistema di riparto delle competenze legislative che impedisca un frazionamento delle scelte fondamentali, e una sostanziale impossibilità di raggiungere risultati i quali, soprattutto nella materia finanziaria, giovano insieme allo Stato come alle Regioni e agli altri enti territoriali, ancora privi di sufficienti risorse proprie, e che devono quindi attingere dal sistema finanziario centrale.

Non si dimentichi che l’articolo 5 esprime, nella parte della Costituzione intitolata ai principi fondamentali, la ferma volontà che la Repubblica, pur riconoscendo e promuovendo le autonomie locali, resti una e indivisibile.

E) Conclusioni.

Accertata l’applicabilità in Sardegna dell’articolo 32 del D.L. 269/2003, va richiamato l’art. 44, comma 1° della legge 28 febbraio 1985, n. 47, secondo cui, sino alla scadenza del termine per la presentazione della domanda di sanatoria, sono sospesi i procedimenti amministrativi e la loro esecuzione; pertanto, l’ordinanza di demolizione impugnata, riconducibile tra quelle astrattamente suscettibili di sanatoria, è allo stato ineseguibile e, conseguentemente, la domanda di sospensione deve essere dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA

dichiara inammissibile la domanda di sospensione.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così decisio in Cagliari, nelle camere di consiglio del 17 dicembre 2003 e del 14 gennaio 2004, con l’intervento dei Signori:

Paolo Turco, Presidente;

Rosa Panunzio, Consigliere;

Silvio Ignazio Silvestri, Consigliere – estensore.

Depositata in segreteria oggi: 09/02/2004

Il Direttore di sezione




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