I viaggi di Lilli tra chador e champagne

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Slobodan
00mercoledì 20 settembre 2006 16:57
I libri, il desiderio di capire e i party in giacca Armani. La straordinaria vita della Gruber, inviata molto speciale

di Annalena Benini


Lilli Gruber ha “la passione di capire”
(lo dice lei stessa, fiera). Ma ha
anche grandi intuizioni, capacità di costruire
scenari: la sera in cui vinse il
ballottaggio alle elezioni il fondamentalista
Mahmoud Ahmadinejad, impegnato
da quel momento in poi a sperare
di cancellare Israele dalle carte geografiche,
a “estirpare il problema dal
medio oriente”, a negare l’Olocausto
eccetera, lei si trovava a Teheran per
scrivere il quarto libro – in quattro anni,
tutti editi da Rizzoli – “Chador, viaggio
nel cuore diviso dell’Iran” (quello
in cui è in copertina velata di bianco
con i capelli che già sfumano verso un
biondo più tenue e pensoso, perché il
primo piano in cui è invece velata di
nero e guarda la Mecca con ciuffi rosso
spaccacuori è “L’altro Islam”, dell’anno
prima). Era a una festa di iraniani chic,
dove, finalmente, aveva potuto bere
“quel gin tonic che da giorni sognavo di
assaporare”, e di gin tonic in gin tonic
la riflessione, anzi la previsione di Lilli
dopo la vittoria Ahmadinejad fu questa:
“Ci sarà per caso un che di Saint-
Just in quest’uomo? La ghigliottina sta
già aspettando gli opportunisti e gli
sfruttatori?”. Azzeccatissima. Forse le
ghigliottine le piacciono molto perché
le ricordano la rivoluzione francese,
piena di brioches e di eleganti Robespierre.
Lei, in effetti, la sera del
trionfo di Ahmadinejad era elegantissima,
e anche il suo autista: “Taraneh,
davvero chic nel suo completo verde
acqua, è come sempre al volante. Io, invece,
per il party di stasera decido di
mettere un paio di pantaloni e una
giacca alla coreana di seta blu di Armani,
che previdente avevo infilato in
valigia”. Nemmeno il marito Jacques
sfigurava: “Per fortuna aveva già stirato
una camicia bianca, da abbinare a
un paio di pantaloni scuri non troppo
stropicciati. Ma ora la nostra prima
preoccupazione non è tanto il guardaroba”,
ovvio, saranno stati tesi per il risultato
delle elezioni. No. “…l’ansia di
arrivare in ritardo alla festa”.
La notte fu lunga, la Gruber venne
corteggiata da un ricco mercante di tappeti
che ballava molto bene, nel tempo
libero andava a caccia nelle riserve di
famiglia, e ballando la guardava dritto
negli occhi: per essere sinceri quella sera
“a tavola nessuno è davvero preoccupato
della vittoria di Ahmadinejad. Lo
champagne è al fresco, il caviale delizioso,
l’argenteria lussuosa… la notte è
dolce”. I viaggi di Lilli sono sempre così,
“passione di capire” e champagne
ghiacciato. E’ andata dappertutto, ha rischiato
la vita, a volte è stata perfino costretta
ad andare in onda da Baghdad
con una pinza nei capelli, ha fatto sessanta
vasche al giorno nella piscina dell’hotel
anche sotto le bombe, ha vinto
premi, superpremi, viaggi premio, ha
chiamato resistenti i terroristi islamici,
ha parlato di occupazione americana
durante il Tg1, ha urlato a Teheran a un
guardiano della rivoluzione: “Non toccarmi,
stronzo!”, ha comprato tappeti
ovunque andasse, sempre “col cuore”,
ha lamentato la poca libertà d’informazione
in Rai nel vecchio e brutto tempo
berlusconiano, è stata eletta infine, a
conclusione di un percorso perfetto, eurodeputato
nelle liste dell’Ulivo, con un
sacco di voti e di applausi. A Bruxelles
adesso si sta impegnando molto, ad
esempio ha organizzato in questi giorni,
per significare l’importanza dell’“immigrazione
come risorsa”, un concerto di
Claudio Baglioni.
Ma il bel successo politico non ha
tolto a Lilli Gruber la “passione di capire”,
così l’estate scorsa è partita di
nuovo, con in borsa il marito Jacques
e qualche altro previdente tailleur
Armani, alla riscoperta dell’America
buona (quella che odia Bush, per intenderci,
quella che pensa all’undici
settembre come alla punizione per
l’arroganza e l’obesità, quella che disprezza
il presidente “per la sua idiozia
e mancanza di buon gusto”, come
ha detto a Lilli Gruber Gore Vidal,
tornato nella villa di Hollywood per
condurre la sua crociata anti Bush insieme
a George Clooney, quella che si
preoccupa per la deriva antidemocratica
e quindi scrive sceneggiature).
Un mese in giro per i caffè di Tribeca
e San Francisco, dove si può trovare,
dice Lilli, “l’avanguardia che lotta”,
un viaggio attraverso case affacciate
su Central Park di giornaliste che si
vergognano di essere americane e organizzano
cene multietniche, incontri
con registi, scrittori, attrici, futurologhe
che leggono lo schermo di cristalli
liquidi, donne consapevoli e progressiste
che vanno in giro con peni
finti nei pantaloni, preti gay, chirurghi
plastici (anche nel viaggio in Iran
non si era lasciata sfuggire l’intervista
al chirurgo plastico miliardario, fondamentale
per capire i musulmani e
la guerra).
E’ stato un viaggio bellissimo, ha
detto Lilli Gruber qualche sera fa su
La Sette (in una trasmissione condotta
da Antonello Piroso sull’undici settembre),
un viaggio che le ha fatto ritrovare
l’America “che ho amato da
ragazza e che ancora amo”. E che le
ha fatto comprendere l’urgenza di allearci
tutti, ma proprio tutti, credendoci
tantissimo, minacciando anche
l’uso della forza, per sconfiggere finalmente
l’Asse del Male.
Qual è questo Asse del Male? Il terrorismo,
il fondamentalismo islamico,
l’odio assoluto per l’Occidente? No,
l’America. Non gli americani buoni,
ovvio, non Susan Sarandon e neanche
i proprietari dei negozi equi e solidali
del Greenwich Village, solo l’America
ignorante, periferica, violenta,
magari persino cristiano-evangelica di
George W. Bush. Perché portare il chador
e non uscire di casa se sei femmina
ha un suo senso vezzoso, fa parte di
una tradizione affascinante e misteriosa
che produce bei tappeti ricamati,
mentre andare a messa la domenica
nella chiesa di Times Square è pericoloso,
fanatico e soprattutto volgare
(Cristianesimo fondamentalista, lo
chiama Lilli Gruber arricciando il naso,
oppure anche “sette protestanti vicine
alle posizioni di destra”).
Comunque, Lilli Gruber è andata in
America alla ricerca dell’Asse del Bene,
con cui “noi europei dobbiamo
aprire un dialogo”. Jane Fonda è stata
una delusione, perché è una born
again christian, infatti l’ha trovata
“troppo magra” (Susan Sarandon invece
fantastica e combattiva, con “gli occhi
nocciola intensi e acuti”, John Irving,
lo scrittore “dal corpo asciutto e
nervoso”, le ha spiegato che Bush ha
vinto di nuovo le elezioni perché la
scuola pubblica fa schifo e quindi la
gente è ignorante. E nelle sue ricerche,
mentre fermava bella gente per strada
che le diceva sempre “non siamo migliori
di Saddam Hussein, ormai i terroristi
siamo noi, la nostra arroganza è
disgustosa”, ha preso un gran numero
di aperitivi in posti democratici, ha fatto
jogging a Central Park, si è fatta sistemare
i capelli per la foto di copertina
all’ombra del ponte di Brooklyn, ha
attraversato la baia di San Francisco
in mountain bike sul Golden Gate
Bridge, è stata a parecchie cene in ristoranti
eleganti e in case con gallerie
d’arte ricavate nelle piscine coperte,
poi arrivata a Chicago si è ricordata di
quel vecchio paio di stivali da cowboy
che si era comprata un decennio prima,
si è molto divertita a Las Vegas, ha
incontrato il medico più all’avanguardia
nei lifting leggeri e invisibili, e alla
fine di tutto ha festeggiato: “Jacques
e io brindiamo alla conclusione della
nostra avventura con una bottiglia di
champagne nelle sale di un bel locale
nel quartiere di Georgetown… un luogo
piacevole, con un pianoforte che
suona in sottofondo, donne eleganti
che bevono tè e giovani astri nascenti
della letteratura che festeggiano i loro
successi”. L’obiettivo perfetto per un
kamikaze incazzato, anche se Lilli ha
frequentato soprattutto i luoghi chic
dell’avanguardia che lotta e i quartieri
omosessuali. Una bella fatica, per
dimostrare che ormai l’America “ha
perso autorità morale”, che serve un
riscatto (e anche diete mirate per l’umanità
sovrappeso, effetto evidente
dello sfascio causato da Bush figlio) e
persino che la decisione di costruire
sul nulla lasciato dal World Trade Center
una torre ancora più alta, la Freedom
Tower, è uno sbaglio enorme, segno
di mancanza di umiltà e semplicità.
L’ha detto a Lilli Renzo Piano, che
fa parte dell’Asse del Bene insieme alla
giornalista col pene di plastica nei
pantaloni, e al quale purtroppo non è
stato chiesto di progettare nulla: “Ha
vinto un misto di affarismo e retorica”,
lo stesso che muove l’Asse del Male
americano, e che ha, cinque anni fa,
causato l’undici settembre. Infatti l’altra
sera, in tivù, ormai bionda e rassicurante,
seduta di traverso e con labbra
sempre più belle, spiegava che la
cosa più urgente, dopo cinque anni in
cui è successo di tutto, non è difendersi,
ma “interrogarsi sulle radici dell’odio”
e ovviamente cacciare Bush, per
ritrovare la bella America di Jack Kerouac,
“l’America che ci manca”, quella
di Fernanda Pivano. Lilli Gruber,
esperta di politica estera, che di sé dice
“l’istinto e l’esperienza devono
spesso sostituire la visuale a trecentosessanta
gradi degli avvenimenti”, in
“Chador” sperava in Ahmadinejad, e
ne “I miei giorni a Baghdad” riteneva
improbabile che in Iraq si potesse mai
andare a votare, e che Saddam Hussein
venisse catturato.
Adesso continua la sua missione, tra
Parigi, Piazza Navona e Bruxelles,
spiegare come va il mondo, senza perdere
i saldi in Madison Avenue. Ha
scritto, nel secondo libro, “L’altro
Islam”: “Sono tornata in queste irrequiete
terre del medio oriente quando
stavo ripensando le mie scelte professionali
al Tg1. Ho cominciato il libro
come giornalista e l’ho finito come deputata
europea. Non mi sembra di
aver cambiato mestiere. Continuerò a
mettere al servizio del pubblico la mia
passione di sempre: la passione di capire”.
Con una coppa di champagne,
però equo e solidale.
zobmie
00mercoledì 20 settembre 2006 17:16
Ma chi credi che gradirà questo articolo?

[SM=x584433] [SM=x584423]
Slobodan
00mercoledì 20 settembre 2006 17:24

Scritto da: zobmie 20/09/2006 17.16
Ma chi credi che gradirà questo articolo?

[SM=x584433] [SM=x584423]



beh,anche se SOLO a te ha fatto scompisciare come a me,non è stato tempo perso no? [SM=x584433]

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