Gesù di Nazaret, il libro di Benedetto XVI

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Caterina63
00venerdì 23 gennaio 2009 17:06

GESU' DI NAZARET[SM=g1740720]

Il  libro del Santo Padre Benedetto XVI


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Il Papa nell'Agorà 

Non fa meraviglia che il Papa parli di Gesù. Che il successore dell'apostolo Pietro perpetui nell'oggi la sua confessione a Gesù, è il nucleo del suo compito. 'Tu sei il Cristo, (il Messia), il Figlio del Dio vivente' (Mt 16,16): questa solenne confessione circa l'identità di Gesù di Nazareth è il fondamento di roccia su cui sta la Chiesa di Cristo. Che meraviglia è, che il successore di Kephas, di Pietro, dell'uomo-'roccia', su cui Gesù ha promesso di fondare la sua Chiesa, ripeta, rinnovi questa confessione e la annunci nell'oggi della Chiesa. Che il Papa parli di Gesù non è in alcun modo sorprendente. Questo è il primo e il più importante dei suoi compiti. Sorprendente è piuttosto come egli lo faccia.

Non c'è, al primo posto, sulla copertina del libro, Benedetto XVI, bensì semplicemente 'Joseph Ratzinger'. Solo al secondo posto c'è il nome, Benedetto XVI, che egli ha scelto il 19 aprile 2005, dopo l'elezione a Papa. Non parla qui il Papa, e neanche l'allora cardinale, vescovo, professore, sacerdote, ma il semplice credente, il cristiano Joseph Ratzinger. Affinché questo sia chiaro fin dall'inizio, egli conclude la prefazione del suo libro con il semplice avvertimento: 'Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del 'volto del Signore' (Sal 27,8) (p. 22). Un 'libro su Gesù' del tutto personale dunque. Già all'inizio l'autore dice di essere giunto a questo libro 'dopo un lungo cammino interiore' (p. 10).

Ma l'uomo e il cristiano Joseph Ratzinger è però anche Papa Benedetto XVI. Con questo 'nome-doppio', per così dire, egli firma anche la sua prefazione, con esso esce in tutto il mondo questo libro, oggetto di grande attenzione mediatica. Il libro si legge come il libro su Gesù del Papa. E perché poi no? Egli non è il più alto funzionario di una multinazionale attiva in tutto il mondo, ma il successore di colui a cui Gesù ha chiesto: 'Simone,…, mi ami?' (Gv 21,15). Perché non dovrebbe essere proprio il Papa, che è chiamato in modo particolare, a parlare del suo Maestro e Signore? Non è lui colui che, più di tutti, deve essere ricolmo dell'amicizia con Cristo? Come vedremo, è proprio qui anche il punto di gravitazione, il centro interiore del suo libro su Gesù. Egli lo chiama: 'l' intima amicizia con Gesù' e dice che da essa 'tutto dipende' (p. 11). Una testimonianza di un''intima amicizia' dunque? Un approccio del tutto soggettivo? Una testimonianza personale, come ce ne sono molte di questo tipo, per 'chi è all'esterno', una forma di letteratura devozionale, il più delle volte piuttosto indigesta?

Questo non sarebbe il tipo di letteratura che di Ratzinger si conosce. Egli è poco incline ad ogni soggettivismo, gli è estranea ogni forma di esibizione della propria interiorità personale. In modo simile a S. Tommaso d'Aquino, il fuoco della sua vita di fede è nascosto, non viene esposto alla curiosità dei biografi. In primo piano sta l'instancabile confronto intellettuale, la fatica del concetto, la forza degli argomenti, la passione della ricerca oggettiva della verità, lo sforzo di dare una risposta, a tutti coloro che chiedono e cercano, del motivo della propria speranza (cf. 1Pt 3,15). Per questo il Papa si reca nell'Agorà, nella piazza del pubblico dibattito. Nell'Areòpago (cf At 17, 22) della pluralità di opinioni dei giorni d'oggi, egli espone la sua visione di Gesù. Il Papa dice ai suoi lettori quello che negli areòpaghi degli odierni dibattiti pubblici dovrebbe essere ovvio, e pone con ciò un alto criterio di qualità. 'Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell'anticipo di simpatia senza il quale non c'è alcuna comprensione' (p. 22).

Le contraddizioni non mancano davvero. Su tutte le linee, dall'inizio, Gesù è 'un segno di contraddizione' (Lc 2, 34). La sua figura è 'coerente'? La roccia della confessione di Pietro a Gesù come il Messia di Israele, come il Figlio del Dio vivente, non è friabile? Si sa davvero qualcosa di sicuro sull'uomo della Galilea? Che amicizia è quella con un fantasma? Essa 'minaccia di annaspare nel vuoto' (p. 11). Così la questione circa la credibilità storica è di importanza vitale, in modo particolare per quello che, fra i due miliardi di cristiani, ha l'ònere di essere colui a cui Gesù ha affidato 'le chiavi del Regno dei cieli'(Mt 16, 19).

Sul pubblico mercato mediatico si mettono in vendita, senza pausa, 'scoperte' apparentemente nuove, che dovrebbero rivelare una storia completamente diversa del Gesù di Nazareth. La rappresentazione biblica ed ecclesiale della figura di Gesù sarebbe una truffa da preti e un imbroglio della Chiesa. La 'verità' su Gesù verrebbe soffocata da oscuri cospiratori, localizzati con particolare preferenza in Vaticano. Il dubbio sulla credibilità storica dell'immagine di Gesù dei Vangeli proviene però anche 'dalle proprie linee'. Da più di 200 anni la critica storica della Bibbia ha messo in discussione quasi tutto quello che nella Bibbia si può trovare su Gesù. La sua figura sembrò di volta in volta dileguarsi, come un'ombra nel nebuloso, come un''icona fattasi sbiadita'(p. 11). La fede della Chiesa in Gesù Cristo appare allora come una 'divinizzazione' posteriore di un Gesù di Nazareth, di cui in realtà non si sa quasi nulla di certo. 'Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede, perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento' (p. 11).

E se invece si riesce a dimostrare la credibilità storica dei Vangeli e la loro immagine di Gesù? Il nostro autore è convinto che ciò sia possibile. A ciò è preparato nel migliore dei modi dalla propria biografia. Per lui la Bibbia è stata sempre il cuore e il centro della teologia. Nei molti anni in cui ho potuto averlo come professore, vescovo, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, non l'ho mai visto senza il suo 'Nestle', l'edizione critica del Nuovo Testamento in greco. Non conosco nessun altro professore di teologia che abbia una tale intima familiarità con la Bibbia. Per 24 anni egli ha presieduto la Pontificia Commissione Biblica che riunisce studiosi biblici cattolici di primo rango. Egli conosce il metodo 'storico-critico' di esegesi biblica. E se è critico nei suoi confronti, non lo è per paura, ma per la convinzione fondata, e pienamente argomentata, che esso debba riconoscere i propri limiti. 'Io spero però', così egli scrive, 'che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e continua a darci' (p. 22). Egli sa di cosa parla. Il suo libro testimonia, in ogni pagina, quanta dimestichezza egli abbia con i lavori delle odierne scienze bibliche.
Proprio questa dimestichezza lo ha rafforzato nella convinzione di potere avere fiducia nei Vangeli. Egli vorrebbe fare il tentativo 'di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il 'Gesù storico' in vero e proprio senso.

Io sono convinto e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente' (p. 20 segg.).

Il nostro autore parte da questo assunto. In vista di esso legge la vita di Gesù, dal Battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione, il lasso di vita pubblica di cui tratta questo primo volume, nell'attesa di un secondo, che dovrebbe trattare dell'inizio e della fine del cammino terreno di Gesù. Sulla base della fiducia nell'attendibilità storica dei Vangeli e della loro immagine di Gesù, si pone ovviamente una questione ancora più radicale che riguarda il centro autentico della discussione attorno a Gesù. Se Gesù era così come lo presentano i Vangeli, egli è allora credibile come figura? La comprensione che egli ha di sé, così come la troviamo in modo attendibile nei Vangeli, non è una smisurata sopravvalutazione di sé, un'arrogante presunzione? Dopo 200 anni di critica storica della Bibbia, possiamo tranquillamente partire dal presupposto, con Joseph Ratzinger/Papa Benedetto, della solida attendibilità storica dei Vangeli.

Le innumerevoli immagini fantasiose di Gesù come di un rivoluzionario, un mite riformatore sociale, come l'amante segreto di Maria Maddalena ecc., si possono tranquillamente depositare nell'ossario della storia. Ma il grande quesito permane pur sempre: Gesù è in sé coerente? La comprensione che egli ha di sé, della sua identità, non è un enorme sbaglio che la cristianità segue da 2000 anni? L'ebraismo e l'islam si scandalizzano proprio di questa pretesa. Dare ad essa una risposta è la vera sfida che si pone oggi al successore di Pietro (e di Paolo) nell'areòpago del pubblico odierno. È credibile Gesù stesso? E se sì: 'Che cosa ha portato?' (p. 73). Perché egli doveva essere più che un profeta? Questo 'più' non è una trovata dei suoi seguaci che lo avrebbero fatto Dio. È la comprensione più autentica che egli abbia di sé. Egli stesso si dichiara 'il Figlio' (pp. 386-396), in un senso assoluto, solo a lui peculiare. Perché egli non può, o non vuole, ritirarsi nel ruolo più modesto di fondatore di una religione fra le tante? Qui sta il vero scandalo. Esso è molto più radicale dei molti altri scandali che i suoi discepoli, già dall'inizio, abbiano suscitato.
  

Gesù, il rabbino e il papa
 

È, Gesù stesso, coerente, credibile? Secondo la testimonianza personale di Papa Benedetto, uno degli impulsi a scrivere questo libro è stato l'incontro con il libro del 'grande erudito ebreo Jacob Neusner' (p. 99) 'Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù' (Piemme, Casale Monferrato 1996, originale: A Rabby Talks with Jesus: An Intermillennial Interfaith Exchange, New York 1993). Quello che Papa Benedetto dice a proposito di tale libro, è così essenziale per la comprensione del suo stesso libro su Gesù, che vorrei citare, a questo punto, un po' più per esteso. Jacob Neusner, dice il nostro autore, 'si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù… Questa disputa, condotta con rispetto e franchezza fra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più della altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della Parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Cosi… desidero entrare anch'io, da cristiano, nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù' (p. 99). A questo 'trialogo' il cardinale Ratzinger pensava già allorché definì il libro del rabbino Neusner come 'il saggio di gran lunga più importante per il dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato nell' ultimo decennio'. Il suo libro su Gesù, ora pubblicato, adempie a questa promessa.

Più che le discussioni sui metodi esegetici, a lui sta a cuore il colloquio con il rabbino. Le prime appartengono, in un certo modo, ai preamboli, ai preliminari. Joseph Ratzinger/Benedetto XVI li chiarisce, rapidamente e sinteticamente, nella prefazione, indicando i meriti e i limiti degli approcci storico-critici a Gesù. Ma già dall'introduzione, da 'un primo sguardo sul mistero di Gesù', egli è là, al centro, dove è posta la Persona stessa di Gesù. Qui, nel cuore della sua meditazione su Gesù, il rabbino gli è di decisiva importanza.

'Cerchiamo ora di riprendere l'essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei' (p. 136). Il rabbino Neusner, 'nel suo dialogo interiore, aveva seguito Gesù per tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo studio della Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose sentite - sempre nell'idea della contemporaneità attraverso i millenni - con il rabbino del luogo' (p. 136). Essi ora paragonano gli insegnamenti di Gesù con quelli della tradizione ebraica. Il rabbino chiede a Neusner 'se Gesù insegni le stesse cose di costoro'. Neusner: 'non precisamente, ma quasi'. 'Che cosa ha tralasciato?' 'Nulla'. 'Che cosa ha aggiunto allora?' 'Se stesso'. Questo il dialogo immaginario. Proprio questo è il punto, di fronte al quale Neusner, nel suo incontro così pieno di rispetto con Gesù, indietreggia spaventato. Egli esprime il suo spavento nella frase che Gesù dice al giovane ricco: 'Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri; vieni e seguimi' (cf. Mt 19,20). Tutto dipende, dice Neusner 'da chi si intenda con questo mi ' (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, p. 114). E il nostro autore completa: 'questo è il motivo centrale per cui (il rabbino Neusner) non vuole seguire Gesù e rimane fedele all''Israele eterno' ' (p. 137).

'La centralità dell'Io di Gesù nel suo annuncio' è dunque il motivo per cui, come scrive il rabbino Neusner nella prefazione al suo libro, egli non si sarebbe unito alla 'cerchia degli apostoli di Gesù', se fosse vissuto 'nel primo secolo in terra d'Israele' (op. cit., p.7). Ed egli avrebbe preso questa decisione, 'per motivi buoni ed importanti', l'avrebbe ragionevolmente motivata 'con argomenti e con fatti', così dice il rabbino Neusner, già nelle prime righe del suo libro (ibidem, p. 7). Questo suo No a seguire Gesù, formulato in maniera così rispettosa e comprensiva, ma tuttavia ben chiara, è motivato in Neusner, primariamente, da motivi di fede o da motivi di ragione? Tutte e due le cose sembrano essere vere. Il no all'equiparazione di Gesù con Dio è per lui un'evidenza di fede, la cui ragionevolezza è spiegabile anche 'con argomenti e con fatti'. Sono sia motivi religiosi che sociali a giustificare il cortese no di Neusner. Quello che Gesù richiede dai suoi seguaci 'può richiederlo solo Dio da me' (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, p. 70).

E quello che egli esige, porta infine a mettere in pericolo la forma sociale di Israele, così come la prescrive la Torah: 'Sul Discorso della montagna non si può costruire nessuno Stato e nessun ordine sociale' (p. 146). Il rabbino Neusner è così importante per il libro di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, proprio perché egli oppone un netto rifiuto a tutti i tentativi di scindere il Gesù storico dal Gesù del dogma della Chiesa. Non è stata la Chiesa, e neanche l'apostolo Paolo ad innalzare un predicatore ambulante della Galilea, mite, liberale, profetico, apocalittico o come altro sia, al rango di Figlio di Dio, ma egli stesso accampa una pretesa, in tutto il suo fare e dire, che spetta solo a Dio. È questa la tematica centrale del libro. Si tratta della domanda di Gesù a Cesarea di Filippo: 'Ma voi, chi dite che io sia?' (Mt 16, 15).
  

Che cosa ha portato (Gesù)?
 

Un nuovo ordine sociale? Il suo Regno non è di questo mondo, egli spiega. Egli avrebbe già detto il suo 'no' ad un'attesa di salvezza puramente immanente e terrena, già nel rifiuto delle tentazioni, e cioè del tentatore. Ciò ha qualcosa a che fare con la critica, spesso fraintesa, del prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, alle cosiddette 'teologie della liberazione'. Nel pregevole capitolo sulle tentazioni di Gesù leggiamo: 'nessun regno di questo mondo è il Regno di Dio, la condizione di salvezza dell'umanità in assoluto… e chi sostiene di poter edificare il mondo salvato asseconda l'inganno di Satana, fa cadere il mondo nelle sue mani' (p. 73). Ma che cosa allora? Che cosa ha portato Gesù se non un mondo migliore? 'Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio' (p. 73). Questo è tutto? 'Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco'(p. 73). 'Il comandamento fondamentale di Israele è anche il comandamento fondamentale dei cristiani: si deve adorare solo Dio' (p. 74). È questo il presupposto per i comandamenti dell'amore del prossimo. Senza il primato di Dio, la dignità dell'uomo non regge a lungo. 'Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza' (p. 73).
  

Che cosa ha da dirci però tutto questo su Gesù?
 

Non hanno portato, tutti i fondatori di religione, il sapere e la sapienza dall'alto? Nel suo 'primo sguardo' introduttivo 'sul mistero di Gesù', il nostro autore affronta il problema di come Gesù 'porti Dio' (pp. 26-33). Nell'Antico Testamento Mosè è il mediatore della conoscenza di Dio, della volontà di Dio. Egli non era un indovino di un oscuro futuro, ma un amico e un confidente di Dio, 'lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia' (Dt 34, 10). Solo così egli era potuto diventare il mediatore della Torah, della volontà di Dio. Mosè annuncia 'un profeta come me…', uno, che 'parlerà faccia a faccia, come un amico tratta con l'amico' (p. 29). Essere in rapporto immediato con Dio, questo è il segno di riconoscimento del promesso, del Messia. Gesù è il nuovo Mosè promesso. 'Egli vive al cospetto di Dio, non solo come un amico ma come Figlio; vive in una profonda unità con il Padre' (p. 31). 'Se si lascia da parte questo centro autentico, non si coglie lo specifico della figura di Gesù che diventa allora contraddittoria e in definitiva incomprensibile'(p. 31). È dimostrabile questo rapporto immediato di Gesù con il Padre? Il suo essere-Figlio-di-Dio è, per così dire, 'accertato'? In fondo tutto il libro di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI è un unico tentativo 'sinfonico' di comprovare la 'coerenza' della figura di Gesù, come dell'Unico che sia in assoluto rapporto immediato con Dio.

Per tener dietro a questa dimostrazione, bisogna capire, meditare il libro stesso, passo dopo passo. Solo la pienezza delle singole impressioni può configurarsi in una visione d'insieme. In ciò sperimento sempre, come lettore, che l'evidenza di Gesù risplende. Questa mia impressione è solo soggettiva? Oppure proviene dal mio a priori di fede che mi fa interpretare tutto, in Gesù, già dapprincipio, nel senso del dogma cristologico? Una cosa è certa: 'che la figura di Gesù abbia fatto nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio' (p. 21).

Dall'inizio sono stati i semplici ad avvertire: qui parla uno che non proferisce erudizioni scolastiche: 'Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!' la gente semplice diceva agli eruditi di Israele (cf. Gv 7, 46). 'L'insegnamento di Gesù non proviene da un apprendistato umano, qualunque possa essere. Viene dall'immediato contatto con il Padre, dal dialogo 'faccia a faccia' … È la parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà' (p. 31 segg.).
  

Dall'Agorà alla sequela
 

'Il discepolo che cammina con Gesù viene in questo modo attratto con lui nella comunione con Dio' (p. 33). L'autore di questo libro su Gesù è senza dubbio uno che Gesù ha attratto all'interno di questa comunione con Dio. Dotato di una brillante intelligenza, di una 'ragione ampiamente dispiegata' (p. 214), egli porta qui il raccolto del suo lungo cammino con Gesù Cristo. Può sembrare tragico che un tale teologo, da annoverare senza dubbio fra i più importanti degli ultimi decenni, abbia ricevuto l'onere dell'ufficio ecclesiastico (il 28 maggio ricorreranno i trenta anni della consacrazione episcopale del professor Ratzinger). Tuttavia, le vie del Signore non sono le nostre vie. Chi cerca di abbracciare con lo sguardo le opere del cardinale Ratzinger, constaterà con profonda ammirazione, quanto fecondi e copiosi siano stati questi anni del suo servizio pastorale, proprio anche da un punto di vista teologico.

Quello che ha entusiasmato gli ascoltatori e i lettori dell''Introduzione al cristianesimo' dal 1968, quel misto inconfondibile di compenetrazione di fede -ragione e di apertura esistenziale, ha acquistato un più profondo spessore attraverso il suo servizio pastorale. Lo sguardo sulla società, sulle sfide intellettuali, sociali, politiche del nostro tempo, è diventato così universale, come lo richiede l'universalità del suo attuale servizio pastorale. Ma al di là dello splendore delle analisi, di tutte le ricchezze di intuizioni e di prospettive di cui questo libro è straricco, tutto è mosso dalla passione trattenuta per Colui che egli ora ha l'incarico di rappresentare sulla terra. Il suo libro è ora sull'Agorà del 'mercato pubblico', si offre al dibattito negli areopaghi della nostra società. Il semplice desiderio del suo autore non è, in primo luogo, di suscitare dibattiti, anche se egli sa che le contraddizioni non mancheranno. Egli vuole solo una cosa: 'che possa crescere una relazione vitale con Lui, con Gesù di Nazareth' (p. 23).
 da www.donboscoland.it

L'angolo del Teologo Borèl - numero Aprile del 2007
Autore: Card. Christoph Schönborn

[SM=g1740722]  
Caterina63
00martedì 7 dicembre 2010 22:37

La questione giovannea


ROMA, martedì, 17 aprile 2007 (ZENIT.org).-Pubblichiamo di seguito un estratto del libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: "Gesù di Nazaret", distribuito dalla Casa editrice "Rizzoli".

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[...] Così siamo ora giunti a due quesiti decisivi che, in fin dei conti, costituiscono il centro della questione «giovannea». Chi è l'autore di questo Vangelo? Qual è la sua attendibilità storica? Cerchiamo di avvicinarci alla prima domanda. È il Vangelo stesso a fare, al riguardo, una chiara affermazione nel racconto della passione. Si riferisce che uno dei soldati colpì il costato di Gesù con una lancia e «subito ne uscì sangue e acqua». Seguono le importanti parole: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). TI Vangelo afferma di risalire a un testimone oculare, e questi è evidentemente colui di cui prima è stato detto che stava presso la croce ed era il discepolo che Gesù amava (cfr. 19,26). Poi ancora una volta, in Gv 21,24, questo discepolo viene menzionato come l'autore del Vangelo. [...]

Ma chi, allora, è questo discepolo? TI Vangelo non lo identifica mai direttamente col nome. In connessione con Pietro e con altre vocazioni di discepoli, il testo ci guida verso la figura di Giovanni di Zebedeo, ma non procede esplicitamente a questa identificazione. È ovvio che mantiene volutamente un segreto. L'Apocalisse, è vero, nomina espressamente Giovanni come suo autore (cfr. 1,1.4), ma nonostante lo stretto legame dell'Apocalisse con il Vangelo come anche con le Lettere rimane aperta la domanda se l'autore sia il medesimo.

[...] Se il discepolo prediletto assume nel Vangelo espressamente la funzione di testimone della verità dell'accaduto, si presenta come persona viva: come testimone vuole farsi garante di fatti storici, rivendicando così egli stesso il rango di figura storica; altrimenti queste frasi, che deter­minano lo scopo e la qualità dell'intero Vangelo, si svuotano di significato.

Dai tempi di Ireneo di Lione (t 202 circa), la tradizione della Chiesa riconosce all'unanimità Giovanni di Zebedeo come il discepolo prediletto e l'autore del Vangelo. Questa tesi si accorda con gli accenni identificativi del Vangelo, che, in ogni caso, ci rimandano a un apostolo e a un compagno di viaggio di Gesù dal battesimo nel Giordano fino all'Ultima Cena, alla croce e alla risurrezione.

In epoca moderna, però, sono sorti dubbi sempre più forti riguardo a questa identificazione. È possibile che il pescatore del lago di Genèsaret abbia scritto questo sublime Vangelo delle visioni che penetrano nel più profondo del mistero di Dio? È possibile che quest'uomo, galileo e pescatore, fosse così legato all'aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, al suo linguaggio e alla sua mentalità quanto lo è, in effetti, l'evangelista? È possibile che fosse imparentato con la famiglia del sommo sacerdote, come sembra suggerire il testo (cfr. Gv 18,15)?

Ebbene, in seguito agli studi di Jean Colson, Jacques Winandy e Marie­Emile Boismard, l'esegeta francese Henri Cazelles ha dimostrato, con una ricerca sociologica sul sacerdozio del tempio prima della distruzione di quest'ultimo, che una simile identificazione è senz'altro plausibile. Le classi sacerdotali prestavano il loro servizio a turno per una settimana due volte l'anno. Al termine del servizio, il sacerdote tornava nella sua terra; non era affatto insolito che esercitasse anche una professione per guadagnarsi la vita. Emerge, del resto, dal Vangelo che Zebedeo non era un semplice pescatore, bensì dava lavoro a diversi giornalieri, per cui era anche possibile ai suoi figli lasciarlo. «Zebedeo, dunque, può senz'altro essere un sacerdote e avere tuttavia al contempo una proprietà in Galilea, mentre la pesca sul lago lo aiuta a guadagnarsi da vivere. Forse aveva solo un alberghetto di passaggio in o nelle vicinanze di quel quartiere di Gerusalemme che era abitato dagli esseni» («Communio» 2002, p. 481). «Proprio quella cena durante la quale questo discepolo poggiò la testa sul petto di Gesù si svolse in un luogo che, con tutta probabilità, si trovava nella parte della città abitata dagli esseni» - nell'«alberghetto» del sacerdote Zebedeo, che «cedette la stanza superiore a Gesù e ai Dodici» (pp. 480s). È interessante, in questo contesto, ancora un'altra indicazione nel contributo di Cazelles: secondo l'usanza giudaica, il padrone di casa o, in sua assenza come qui, «il suo primogenito sedeva alla destra dell'ospite, il capo reclinato sul suo petto» (p. 480).

Se dunque anche - e proprio - allo stato attuale della ricerca è senz'altro possibile scorgere in Giovanni di Zebedeo quel testimone che difende solennemente la sua testimonianza oculare (cfr. 19,35), identificandosi così come il vero autore del Vangelo, la complessità nella redazione del testo solleva tuttavia ulteriori domande. A questo riguardo è importante una notizia dello storico della Chiesa Eusebio di Cesarea (t 338 circa). Eusebio ci riferisce di un'opera in cinque volumi del Vescovo Papia di Gerapoli, morto nel 220 circa, che vi avrebbe menzionato di non aver più conosciuto né visto di persona i santi apostoli, ma di aver ricevuto la dottrina della fede da persone vicine agli apostoli. Parla di altri che sarebbero stati a loro volta discepoli del Signore e cita per nome Aristione e un «presbitero Giovanni». Ciò che qui importa è che egli distingue tra l'apostolo ed evangelista Giovanni da una parte e il «presbitero Giovanni» dall'altra. Mentre non avrebbe più conosciuto personalmente il primo, avrebbe incontrato il secondo di persona (Eusebio, Storia della Chiesa, III, 39).

Si tratta di una notizia veramente degna di attenzione; insieme con alcuni indizi affini rivela infatti che a Efeso esisteva una sorta di scuola giovannea che faceva risalire le sue origini al discepolo prediletto di Gesù, nella quale, tuttavia, un certo «presbitero Giovanni» era poi l'autorità decisiva. Questo «presbitero» Giovanni compare nella Seconda e nella Terza Lettera di Giovanni (1,1 in entrambi i casi) come mittente e autore del testo semplicemente con il titolo «il presbitero» (senza l'indicazione del nome Giovanni). Evidentemente non coincide con l'apostolo, cosicché, in questo passo del testo canonico, incontriamo espressamente la misteriosa figura del presbitero. Doveva essere strettamente legato all'apostolo e magari aveva ancora conosciuto persino Gesù. Dopo la morte dell'apostolo venne considerato il pieno detentore della sua eredità; nel ricordo, le due figure si sono infine sovrapposte sempre di più. A ogni modo possiamo attribuire al «presbitero Giovanni» una funzione essenziale nella stesura definitiva del testo evangelico, durante la quale egli, senz'altro, si considerò sempre come l'amministratore dell'eredità ricevuta dal figlio di Zebedeo.

Le grandi immagini giovannee, capitolo 8 di GESÙ DI NAZARET, di Joseph Ratzinger ­Benedetto XVI, Rizzoli (Pagg.261-266)


Caterina63
00martedì 7 dicembre 2010 22:43

La tentazione del pane


ROMA, lunedì, 16 aprile 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un estratto del libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: "Gesù di Nazaret", in vendita nelle librerie italiane da questo lunedì – giorno dell'80° genetliaco del Papa – e distribuito dalla Casa editrice "Rizzoli".

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[...] La prova dell'esistenza di Dio che il tentatore propone nella prima tentazione consiste nel trasformare in pane le pietre del deserto. All'inizio si tratta della fame di Gesù stesso - così l'ha vista Luca: «Di' a questa pietra che diventi pane» (Le 4,3). Ma Matteo interpreta la tentazione in modo più ampio, così come già durante la vita terrena di Gesù e in seguito lungo tutta la storia gli veniva e gli viene proposta sempre di nuovo.

Che cosa vi è di più tragico, che cosa contraddice maggiormente la fede in un Dio buono e la fede in un redentore degli uomini che la fame dell'umanità? Il primo criterio di identificazione del redento re davanti al mondo e per il mondo non dovrebbe essere quello di dare il pane e mettere fine alla fame di ogni uomo? Quando il popolo d'Israele vagava nel deserto Dio l'aveva nutrito mandando il pane dal cielo, la manna. Si credeva di poter riconoscere in questo un'immagine del tempo messianico: non doveva e non deve il salvatore del mondo dimostrare la propria identità dando da mangiare a tutti? Il problema dell'alimentazione del mondo – e, più in generale: i problemi sociali - non sono forse il primo e autentico criterio al quale deve essere commisurata la redenzione? Può qualcuno che non soddisfa questo criterio chiamarsi a buon diritto redentore? Il marxismo ha fatto proprio di questo ideale - in modo comprensibilissimo - il cuore della sua promessa di salvezza: avrebbe fatto sì che ogni fame fosse placata e che «il deserto diventasse pane»...

«Se tu sei Figlio di Dio...» - quale sfida! E non si dovrà dire la stessa cosa alla Chiesa? Se vuoi essere la Chiesa di Dio, allora preoccupati anzitutto del pane per il mondo - il resto viene dopo. È difficile rispondere a questa sfida, proprio perché il grido degli affamati ci penetra e deve penetrarci tanto profondamente nelle orecchie e nell'anima. La risposta di Gesù non si può capire solo alla luce del racconto delle tentazioni. Il tema del pane permea tutto il Vangelo e deve essere visto in tutta la sua estensione. Ci sono altri due grandi racconti sul pane nella vita di Gesù. Uno è la moltiplicazione dei pani per le migliaia di persone che avevano seguito il Signore nel deserto. Perché ora viene fatto quello che prima era stato respinto come tentazione? La gente era venuta per ascoltare la parola di Dio e per farlo aveva lasciato perdere tutto il resto. E così, come persone che hanno aperto il proprio cuore a Dio e agli altri in reciprocità, possono ricevere il pane nel modo giusto. Questo miracolo suppone tre elementi: in precedenza vi è stata la ricerca di Dio, della sua parola, del giusto orientamento di tutta la vita. Il pane viene inoltre implorato da Dio. E infine un elemento fondamentale del miracolo è la disponibilità reciproca a condividere. Ascoltare Dio diventa vivere con Dio, e conduce dalla fede all'amore, alla scoperta dell'altro. Gesù non è indifferente di fronte alla fame degli uomini, ai loro bisogni materiali, ma li colloca nel giusto contesto e dà loro il giusto ordine.

Questo secondo racconto sul pane rimanda in anticipo al terzo e ne costituisce la preparazione: l'Ultima Cena, che diventa l'Eucaristia della Chiesa e il miracolo permanente di Gesù sul pane. Gesù stesso è diventato il chicco di grano che morendo produce molto frutto (cfr. Gv 12,24). Egli stesso è diventato pane per noi, e questa moltiplicazione dei pani durerà in modo inesauribile fino alla fine dei tempi. Così ora comprendiamo la parola di Gesù, che Egli prende dall'Antico Testamento (cfr. Dt 8,3), per respingere il tentatore: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). A questo proposito c'è una frase del gesuita tedesco Alfred Delp, messo a morte dai nazisti: «Il pane è importante, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è la costante fedeltà e l'adorazione mai tradita».

Laddove questo ordine dei beni non viene rispettato, ma rovesciato, non ne consegue più la giustizia, non si bada più all'uomo che soffre, ma si creano dissesto e distruzione anche nell'ambito dei beni materiali. Laddove Dio è considerato una grandezza secondaria, che si può temporaneamente o stabilmente mettere da parte in nome di cose più importanti, allora falliscono proprio queste presunte cose più importanti. Non lo dimostra soltanto l'esito negativo dell'esperienza marxista.

Gli aiuti dell'Occidente ai Paesi in via di sviluppo, basati su princìpi puramente tecnico-materiali, che non solo hanno lasciato da parte Dio, ma hanno anche allontanato gli uomini da Lui con l'orgoglio della loro saccenteria, hanno fatto del Terzo Mondo il Terzo Mondo in senso moderno. Tali aiuti hanno messo da parte le strutture religiose, morali e sociali esistenti e introdotto la loro mentalità tecnicistica nel vuoto. Credevano di poter trasformare le pietre in pane, ma hanno dato pietre al posto del pane. È in gioco il primato di Dio. Si tratta di riconoscerlo come realtà, una realtà senza la quale nient'altro può essere buono. Non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio. Se il cuore dell'uomo non è buono, allora nessuna altra cosa può diventare buona. E la bontà di cuore può venire solo da Colui che è Egli stesso la Bontà, il Bene.

Le tentazioni di Gesù, capitolo 2 di GESÙ DI NAZARET, di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Rizzoli (Pagg.53-56)

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