GARA DI SCRITTURA

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Lord Petyr
00giovedì 21 maggio 2009 12:08
Dunque signori, è tempo di aprire la sfida!

In quanto organizzatore, fisso i termini della sfida:

1) Si può scegliere se concorrere o con normale racconto, rigorosamente frutto della propria immaginazione, quindi originale anche nell'idea, o con una poesia, che avrà una sua categoria a parte.
Per i più vogliosi, è possibile concorrere in entrambe le categorie.

2) E' vietato ispirarsi a personaggi,trame o ambientazioni di qualsiasi genere di provenienza di qualsivoglia scrittore,film,fumetto o quant'altro. Se pesco qualcuno,la pena è la squalifica. Verrà comunque votato e valutato, ma non potrà vincere la gara.

3) Si ha tempo per la pubblicazione a partire da lunedì 25 MAGGIO 2009 fino a sabato 5 SETTEMBRE 2009.

3) La valutazione dei lavori pubblicati può essere fatta da tutti gli utenti del forum, compresi i partecipanti alla gara, che ovviamente non possono però autovotarsi. Non ci sono criteri specifici, ognuno è libero di esprimere il proprio giudizio come meglio crede, l'unica regola fissa è che ci deve essere un voto finale al lavoro analizzato, di un valore compreso tra l'1 e il 10. Sono ammessi anche i mezzi voti.

4) La lunghezza massima consentita dei racconti è di 3 pagine di word(riga più riga meno,ma non esagerate). Per la poesia invece 1 pagina di word.

5) La pubblicazione dei lavori deve avvenire all'interno della sezione " LA TORRE DI MAESTRO AEMON" nella voce "GARA DI SCRITTURA" chi non pubblica dove appena indicato non sarà nè valutato nè preso in considerazione.

6) E' possibile, al fine di migliorare il proprio racconto, eseguire lavori in COPPIA. In tal caso, si deve naturalmente segnalare entrambi gli autori, e non è possibile per i due autori pubblicare ulteriori lavori nell'ambito della gara singolarmente.


Queste sono le regole.
Detto questo, immaginando che il Master sia d'accordo con me, mi raccomando circa le solite regole di comportamento. Poichè per alcuni scrivere è una cosa per certi versi "intima", c'è chi ha una certa ritrosità a esporre agli altri ciò che scrive. Per questo, chi vota e giudica è sacrosanto che lo faccia onestamente e sinceramente, ma evitate,qualora i lavori non siano di gradimeto, espressioni tipo "che schifo" o simili. So che con voi non c'è bisogno di dirlo, ma poichè non conosco tutti lo scrivo per sicurezza.

E adesso, a voi...talenti letterari,divertitevi!

[SM=x204908] [SM=x204872] [SM=g8913]
Waymar Royce
00giovedì 21 maggio 2009 20:48
Ho solo un dubbio, anche se molto difficilmente riuscirò a partecipare (ma i tempi sono lunghi e d'estate un po' di ferie dovreo riuscire a farle):al punto 2 dici che è vietato ispirarsi a personaggi ed ambientazioni tratti da qualsivoglia autore...ma i personaggi storici come li valuti? In primis sono realmente esistiti, in secundis ci potrebbero essere già storie e libri sulle loro vicende, quindi in questa ottica il racconto storico vero e proprio sarebbe escluso.
Piccola nota: ci sono due articoli con lo stesso numero...il 3

Waymar Royce
Lord Petyr
00giovedì 21 maggio 2009 22:53
Come dissi quando proposi all'inizio la sfida di scrittura, il tema deve essere assolutamente originale.
Per questo, personaggi storici e le loro gesta e vicende rientrano all'interno del punto 2, e quindi soggetti a squalifica.
Qusto naturalmente non vieta, per chi vuole, lo sviluppo magari di un breve racconto storico ambientato in un determinato ambiente e sfondo storico.

Per fare un esempio: non è possibile fare un racconto su napoleone, ma potete magari farne uno che ha per protagonista un soldato francese dell'epoca, senza però coinvolgerlo negli avvenimenti storici di quel periodo.Usate insomma periodo e grandi personaggi storici come sfondo alla storia, ma non come parti attive del racconto.

Spero di essere stato chiaro.

Comunque,per tutte le domande, invito tutti a scriverle nella voce "SFIDA A COLPI DI INCHIOSTRO", in modo da non faer confusione tra dove pubblicare e dove discutere di questa gara.

Faccia da cavallo
00lunedì 31 agosto 2009 19:51
I RIBELLI di ARCHON

La pioggia che scrosciava contro il vetro della finestra non sarebbe durata molto, era il solito temporale estivo.
Il vecchio era vestito con un farsetto di velluto rosso, di un rosso tanto scuro che alla luce del camino a tratti sembrava quasi nero. Era un uomo sulla sessantina, ma il suo fisico ancora muscoloso e possente rivelava il suo passato da uomo d’armi.
“Forza venite qui a sedere.”
Due bambini rispondendo al richiamo del nonno andarono a sedersi sul tappeto accanto al camino di fronte alla poltrona su cui si era seduto l’anziano signore.
“Oggi, nipoti miei, vi leggerò questo libro” così dicendo accarezzò il dorso del libro che teneva in mano. “Vorrei che prestaste molta attenzione, soprattutto tu Kay.” Il ragazzinò raddrizzo la schiena quando lo sguardo del nonno si posò su di lui, mentre la sorella più piccola sbuffò impaziente.
“La Storia che sto per leggervi parla di fatti realmente accaduti, è il diario di un uomo di nome Asher e narra la ribellione di Archon, ne avete già sentito parlare vero? Non eravate ancora nati è successa dieci anni fa proprio nella nostra città.”Fece una pausa e osservò la bimba giocherellare con le frange del tappeto “Bene allora cominciamo…


Terza settimana, prima luna della semina

Il mio nome è Asher e sono il figlio del parroco della città e anche uno dei pochi uomini che sa scrivere, per questo sono stato scelto per tenere il diario della battaglia che tutti noi dovremo combattere per abbattere il regno di terrore di Gorgon “Il Tiranno”.
Per i posteri che leggono questo diario è giusto che io perda qualche attimo per spiegarvi il perché un intero villaggio ha deciso di sollevarsi e di mettere in gioco la propria vita per la Libertà.
Io vivo nel villaggio di Cullaeven nella regione della Fringa, è un piccolo villaggio di poco più di cinquanta famiglie perlopiù di contadini.
Il conte Gorgon vive in un tetro castello in cima alla collina, un castello di grosse pietre grigie e da lì amministra la legge. È a lui che paghiamo le tasse ed è a lui che diamo parte del raccolto dopo la mietitura. Suoi sono i boschi e lo stagno, i frutteti e la vigna. Lui ha il potere di dettare legge e di imporle con il suo esercito. Fino a qui tutto è normale se non fosse che Gorgon “Il Tiranno” è un despota meschino che affama il villaggio, che impone leggi folli e che punisce severamente chi non le rispetta. Le sue guardie, spesso corrotte, amano usare la forza bruta per “tenere in riga la plebaglia”.
Però né io né i miei concittadini avremmo mai avuto il coraggio di opporci a quel giogo, ma poi accadde. Una mattina di inverno accadde.
Io ero in chiesa a sistemare le panche quando un urlo di una donna mi fece correre fuori sul sagrato, tre guardie a cavallo erano giunte nella piazza e una di esse aveva un fagotto di traverso sulla sella, ma la bruma del mattino mi impediva di vedere bene di cosa si trattasse; un animale, un cerbiatto forse.
La donna era inginocchiata vicino al cavallo e gridava tenendosi il volto tra le mani, il cesto con i panni che portava era rovesciato nel fango.
La punta dello stivale della guardia la colpì in pieno viso e lei cadette all’indietro, “fa silenzio donna se non vuoi che ti sfondi quella bocca a calci” la guardia sputò sulla donna che si rannicchiò su se stessa e prese a mugolare sommessamente mentre il sangue le colava dal naso probabilmente rotto.
“Curato, fatti vedere, ho qui qualcosa per te!”
“Non c’è, è andato in campagna a prendere le confessioni dei malati. Io sono suo figlio.” risposi alla guardia uscendo di chiesa.
Quella fece avanzare il cavallo di qualche passo verso di me e si fermò, con una mano prese il fagotto e lo buttò a terra davanti a me… era un bambino.
“Questa ladra è stata trovata a rubare nel frutteto del Conte, la punizione è la morte” poi estrasse dalla sacca della sella una mela e la gettò a terra accanto al corpo esamine.
“Il Conte nella sua bontà d’animo ha deciso di donare alla famiglia della ragazza una mela. Di a tuo padre che ha del lavoro da fare AH AH AH.” Così dicendo fece voltare il cavallo e lo spronò al galoppo dileguandosi.
Mi avvicinai al corpo della bambina, un colpo di mazza le aveva fracassato il volto e il suo viso era irriconoscibile, la sollevai piano da terra quasi con timore di farle male, quando notai che un capannello di persone cominciava ad arrivare in piazza.
Si diffuse presto un brusio, c’era chi insultava il Conte, chi spingeva per vedere di chi era il corpo che stingevo fra le mani, poi d’un tratto dalla seconda fila Archon il fabbro della città si fece largo a spintoni, era un uomo massiccio con braccia possenti, mi si parò davanti e guardò la bambina, due lacrime scesero lungo le sue guance, prese la bambina dalle mie braccia con una delicatezza che sembrava impossibile per le sue mani, poi cadde in ginocchio e sollevando la testa al cielo esplose in un urlo di dolore che straziò il cuore di tutte le persone accorse nella piazza.
[…]

Seconda settimana, Terza luna della semina

Sono passati tre mesi dal funerale della piccola Liv e dal primo incontro al fienile indetto da Archon.
Questa sera sono stato eletto come scrittore, sarà mio compito tenere un diario in cui racconterò la storia della nostra ribellione. Abbiamo deciso che è tempo di dire basta ai soprusi del tiranno e di imbracciare le armi per mettere fine al suo regno di terrore. Tutti gli uomini del villaggio si sono detti favorevoli e hanno imbracciato le armi. C’è il vecchio Ceth il macellaio, Gorion il mugnaio, Will e suo fratello Jeff, anche Linda, il cui marito era stato ucciso anni fa per aver cacciato un cervo del Conte, si è fatta avanti e si è dichiarata pronta a “ far assaggiare un po’ di acciaio a quei porci”. In tutto siamo ottantatre, ottantatre uomini e donne che sfideranno l’esercito del tiranno, i duecento cinquanta servi del Tiranno, quegli assassini.
[…]
Prima settimana, Prima luna del raccolto

Siamo sempre più vicini al momento dell’attacco. Abbiamo deciso di attaccare durante la quarta luna del raccolto quando i magazzini e i granai saranno già pieni. La tensione inizia a salire, si vedono visi nervosi e anche giù da Bessi alla locanda si respira un clima di agitazione.
Oggi però ci sono state buone notizie, notizie che ci hanno fatto sperare.
Sarah, la figlia del Bortolo il calzolaio, una ragazza di sedici anni, capelli rossi e lentiggini, una sera è entrata nel fienile tutta agitata, non riusciva a stare ferma.
“Signori ho parlato della nostra idea al mio fidanzato…” proruppe interrompendo le varie discussioni, su tutti scese un alone greve, i volti si fecero tesi e qualcuno imprecò.
Il ragazzo di Sarah era una delle guardie del conte.
“… no, no aspettate. Proprio stamattina camminavamo mano nella mano nel frutteto quando mi ha chiesto di sposarlo e quando mi ha visto rabbuiarmi mi ha domandato cosa avessi. Io gli ho detto che sarebbe bello mettere su famiglia insieme, ma che il nostro futuro era incerto. Data la sua faccia stupita gli ho spiegato tutto e lui mi ha detto..” il silenzio era sceso sulla sala, tutti erano in attesa “mi ha detto che ci avrebbe aperto il portone principale!!! Capite il portone!”
La notizia, seppur qualcuno sembrasse scettico, fu accolta con entusiasmo.
La settimana successiva in città arrivò uno straniero, un uomo torvo, vestito di pelli che puzzava di fango e muffa, che si diresse verso la fucina di Archon.
Ho visto Archon alzare il maglio stringendolo fino a far diventare le nocche bianche e puntarlo al volto dello sconosciuto, alzare la voce e gridare allo straniero di andarsene.
Il colpo del maglio contro la parete della fucina fu un rumore sordo come un tuono, alcune crepe si fecero largo nel muro, poi il fabbro scattò in avanti, afferrò il cacciatore per il collo e lo sollevò da terra come fosse una bambola di stracci. Il nuovo venuto farfugliò qualcosa e poi venne scagliato in strada.
Archon si mise a camminare lentamente verso l’avversario, io e molta altra gente siamo corsi a vedere cosa succedeva, pronti ad intervenire e siamo rimasti a bocca aperta quando il fabbro ha allungato la mano e con il volto rigato da lacrime ha aiuto l’altro ad alzarsi stringendolo tra le braccia.
Il nuovo arrivato era Kail suo fratello, un furfante che aveva abbandonato famiglia e villaggio e si era dato al brigantaggio e al bracconaggio. Archon lo odiava, almeno fino ad oggi, mi sembra doveroso aggiungere.
[…]

Terza settimana, Quarta luna del raccolto

“Uomini non vi mentirò dicendo che sarà facile, non vi dirò che questa sera festeggeremo insieme bevendo la birra di Bessi alla locanda,” Archon fece una pausa, poi riprese a parlare rivolto ai compagni che lo attorniavano nel bosco “ molti di noi moriranno, molti di noi verranno feriti, ci saranno lacrime e sangue, ma l’alba di oggi segnerà la storia.
Attaccheremo il castello e con l’aiuto di Dio e dei ladroni di mio fratello riusciremo ad uccidere il Tiranno e a fare giustizia. Perciò siatene certi, da domani non ci sarà più l’ombra del castello sopra al nostro villaggio, nessun uomo di Cullaeven dovrà temere il Tiranno, i nostri figli cresceranno in una terra che potranno chiamare loro”, poi fece una pausa, “ e se ci toccherà morire andremo direttamente in paradiso, la mia piccola Liv è lì ad aspettarci a braccia aperte.”
Gli occhi si fecero lucidi e lui se li asciugò con il dorso della mano. Proprio in quel momento una torcia sopra al portone si accese e si spense tre volte a intermittenza.
Era il segnale.
“ Alla carica! Morte al Tiranno!”
Tutti noi corremmo fuori dal bosco urlando proprio mentre il portone del castello si apriva e ci riversammo tra le mura come un fiume in piena.
Non ho parole per descrivere ciò che accadde. Sembrava che squillassero le trombe dell’apocalisse, che si fossero aperte le porte dell’inferno.
Ho visto Ceth che impugnava i suoi coltelli da lavoro e che squarciava il ventre a un paio di guardie prima che un’ascia gli aprisse il cranio, i balestrieri della torre infilzavano i dardi sui contadini quando sul tetto apparvero una decina di ladroni e i balestrieri furono sopraffatti.
Ho visto Fred perdere l’occhio destro a causa di un colpo fortunato. Il ragazzo di Sarah volare dalle mura e schiantarsi al suolo un passo accanto a me, la sua pelle è esplosa, non pensavo che la guerra fosse così “sporca”, sembrava un frutto maturo che cadeva dall’albero.
Will e suo fratello Jeff erano, due furie, impugnavano delle armi strappate ai soldati uccisi e spalla a spalla sembravano inarrestabili.
Ma ciò che più mi ha scioccato è stato l’urlo di Archon quando il suo maglio ha fracassato il ginocchio della guardia che aveva riportato il corpo di Liv, gli occhi di Archon erano iniettati di sangue, quasi schiumava dalla bocca, una freccia gli si conficcò nella schiena all’altezza del rene, ma sembrò non accorgersene neppure. Alzò il martello a due mani e mentre la guardia implorava pietà gli fracassò il petto.
Io di mio uccisi una guardia soltanto e che il Signore mi è testimone, più che altro è stato lui a venire a impalarsi sul mio forcone.
La battaglia era vinta, ormai il mezzogiorno era passato da qualche ora, il castello era stato espugnato, il cortile interno e le mura erano in mano nostra, mancava solo il mastio centrale dove si nascondeva il Tiranno.
Il cortile interno era cosparso di cadaveri e di uomini morenti, sia guardie che compaesani tutti accumunati dal dolore.
Il fragore della battaglia si era ormai trasformato nel coro dei lamenti dei feriti e dai pianti di chi aveva perso un amico o un famigliare.
Queste mie parole le sto scrivendo in un momento di calma, mio padre sta benedicendo i morti e i tagliagole di Kail portano la grazia ai feriti.
Gli altri si stanno riorganizzando, alcuni degli uomini sono andati al bosco per tagliare un grosso abete che useremo come ariete per abbattere il portone del mastio. È finita l’era del Conte Gorgon, è finita l’ora del Tiranno.


Il vecchio chiuse il libro. “E qui finisce “Il diario della ribellione di Archon,”vi è piaciuto questo racconto?” aggiunse l’uomo con voce calma e posò il libro su un tavolino.
La bimba sbuffò. “A me non piacciono le storie di guerra, non c’era neppure una principessa…”
“Ma come è finita nonno?” chiese il bambino.
Il vecchio riprese: “ Non capita tutti i giorni nipoti miei di sentire storie come questa, quelli che voi avete appena ascoltato sono gli eventi storici scritti dai vinti e non come sempre accade dai vincitori.
Infatti, a quel punto ho deciso di scendere in campo, così mi sono alzato dal trono, mi sono preparato, ho preso le mie armi e sono uscito dalle mie stanze, ho percorso le scale del mastio e ho varcato il portone. Prima del tramonto le teste dei rivoltosi erano esposte sulle picche in cima alle mura di questo castello.”
“Sei fortissimo nonno Gorgon, da grande sarò anche io forte come te”
“Va bene Kay, però ora dovete andare a letto, va a salutare tua madre e va a dormire.”


LadyVeritas
00mercoledì 9 settembre 2009 10:33
il contenuto della seguente storia, così come il linguaggio, si presenta lievemente turpe. Dal momento che non conosco i parametri di pubblicazione di questo sito, se in qualche modo dovessi offendere l'integrità del sito e dei singoli individui, sono pronta ad assumermene la responsabilità, a procedere ad una riscrittura più controllata e a porgervi le mie più sentite scuse. Io l'ho detto.

Non ho mai trovato nel cinema o nella letteratura la storia di uno sceneggiatore di horror fallito e schizofrenico. Così l'ho fatta io.



Non c'è nessuno.

L’angolo dietro all’armadio.
Odiava vederlo. Cazzo, quanto odiava vederlo quell’angolo dietro all’armadio.
La sua camera era lunga e stretta, rettangolare. L’armadio era possente, davvero possente e non c’era spazio tra esso e il soffitto. L’aveva comprato così alto per non temere il Mostriciattolo, ma quegli idioti dei facchini lo avevano montato tralasciando un piccolo spazio tra il muro e la parete del guardaroba. Ci poteva stare una persona in quell’angolo. Oddio, ci poteva stare davvero una persona. Prima di andare a letto ci guardava, ma era sempre vuoto. Eppure, un attimo prima di spegnere la luce, temeva che il Mostriciattolo sporgesse la testa da quel cazzo di angolo dove si rannicchiavano tutte le soffuse ombre della camera.
Era agosto. Era un caldissimo, infernale agosto della Florida. E lui sudava come un matto infradiciando lenzuola e coperta. Cristo santo, era un agosto della Florida e lui dormiva con lenzuola e coperta fino alla testa!
Lì, nel buio della sua stanza, nelle tenebre più complete della notte, lui temeva, lui aspettava, tremava al pensiero che arrivassero. Lì, ad occhi chiusi, serrati, il lenzuolo stretto sul suo volto come un promettente sudario di paura. Lì, li vedeva, vedeva il grottesco Pagliaccio dai felini occhi gialli e il sadico e appuntito sorriso trotterellare dall’angolo dietro all’armadio fino al suo letto. Era la cosa odiava di più, vederlo trotterellare per la stanza tranquillamente. Sapeva che prima o poi si sarebbe fermato davanti al suo letto, avrebbe spalancato le sue fauci e le avrebbe chiuse in un morso purpureo sul suo viso. Lo sapeva!
“Se vogliono venire, vengono.” Si diceva, rannicchiandosi ancora di più. “Se vogliono uccidermi cazzi loro… Cioè, no, proprio cazzi loro no, ma tanto non fa nessuna differenza… Davvero, non ne fa nessuna. Se vogliono venire vengono comunque, tanto vale che dormo, così magari muoio nel sonno e non me ne accorgo neppure e non vedo in faccia il Pagliaccio. Se mi vogliono uccidere vengano pure… Vengano pure. Sì, ignoro l’angolo, ignoro il Mostriciattolo, ignoro il Pagliaccio, ignoro Fumiko Yuki…”
«Ma che maschilista!» Diceva allora Fumiko Yuki seduta a gambe incrociate sul pavimento, agitava mister Johnny verso di lui con aria minacciosa. «Io sono vera, uomo deficiente. O vuoi assaggiare mister Jhonny sul tuo didietro?»
Fumiko Yuki non gli stava antipatica, davvero. Solo che quando era sera diventava malvagia. Lui aveva paura di vedere il Pagliaccio in viso, questo era vero. Ma aveva paura a girarsi per dare le spalle al Pagliaccio, perché, se si fosse girato, Fumiko Yuki gli avrebbe infilato mister Johnny nel didietro, ne era sicuro. Di giorno Fumiko Yuki era sempre una convinta femminista.
«Non trovo giusto che gli uomini possano stuprare le donne e non il contrario.» Diceva di giorno, facendo roteare mister Johnny. «Sai, nella realtà alternativa dove vivo io ho gli uomini mi temono, sì, sì, non mi guardare in quel modo. E’ vero. Ne uccisi un sacco. Non nego che la stessa natura è maschilista. Sì, sì, va bene, hanno voluto farci dominare. Ma le persone possono andare contro natura. E allora ci vado anch’io. Sì, ci vado anch’io con mister Johnny. Nei vicoli sono loro a temere me adesso.»
Lui continuava a scrivere al computer senza degnarla di uno sguardo, poi borbottava a denti stretti. «Lo so, ti ho creata io…»
Allora Fumiko Yuki sorrideva. Aveva un viso largo, quasi infantile. Bassa e mingherlina, i suoi tratti mongolici le davano un aspetto davvero simpatico.
Fino a sera.

John Czyżewski sospirò mentre appoggiava sulla sua scrivania la sceneggiatura. «Beh, sì, è un bel lavoro, Ken. Mi hanno detto che i produttori stanno cercando uno sceneggiatore per Saw VII. Io ci darei un pensierino.»
Ken spostò il peso da un piede all’altro. «Ah… Oh… Non… Non so, John. Io… Io, ecco, stavo pensando… Uh… Qualcosa di diverso… Tutti… Tutti questi blockbuster sono così… Ecco… Non so…»
«Ah, ma ci puoi pensare. Insomma, Saw è un bel passo avanti di sicuro, io ci farei un pensierino. Non si tratta solo di blockbuster. Dio, Ken, tu fai le sceneggiature dei filoni horror, insomma Halloween X e Venerdì 13: la vendetta di Jason sono stati un fiasco al botteghino, certo, ma nessuno si aspettava altrimenti. Basso bugget, regia pessima e…»
«…E una mia sceneggiatura…» Completò Ken sconsolato.
«No, no, non fare così, Ken.» Si affrettò a dire John. «Tu sei uno sceneggiatore bravo… Ecco, fai le sceneggiature dei filoni horror. Nessuno si aspetta da te dei capolavori… Devi solo fare un po’ di paura, un po’ di suspense e mettere un po’ di sangue qua e là. Niente di originale, certo ma… Comunque Saw mi sembra un grande passo avanti, davvero. Dovresti pensarci.»
«Oh, sì… Sì, certo…» Rispose Ken. Fece per uscire dalla porta.
«Ah, quasi dimenticavo… Vogliono fare un remake di It.»
Ken si bloccò sulla porta. Sentiva sudore freddo inondargli la fronte e la schiena. «It?»
«Sì… Il film degli anni novanta faceva schifo, diciamocelo. Aveva effetti speciali ridicoli… E Tommy Lee Wallace… Te lo ricordi? Te lo presentato qualche tempo fa… Cerca dei collaboratori per la sceneggiatura. Io mi farei avanti se fossi in te…»
«No… Io, ecco… Non posso… Non posso, davvero.» Rispose in fretta Ken.
«Perché?»
«Oh… Ehm… Nessuno motivo…»
«Ascolta, Ken.» John si alzò. Aveva un tono di voce strano. «Ti sei fatto vedere da quello psicologo che ti avevo… consigliato?»
«Sì… Certo… Sì.» Mentì Ken.
«Senti, non dirmi così. Io lo so che non ci sei andato. La schizofrenia è una malattia grave, se ne sei affetto…»
«Io… John, devo andare, davvero… Devo andare…» Si dileguò in fretta dall’ufficio.
“Cazzo, io non sono schizofrenico… Non lo sono. John non capisce un cazzo. Non capisce esattamente un cazzo. Perché ha nominato It in quel dannato ufficio?”
Quella notte non avrebbe dormito, era sicuro che il Pagliaccio, sentendo nominare suo cugino sarebbe andato a trovarlo.


Kenneth Jaime Taletti, di origine italiane, anche se nè lui nè suo padre conoscevano una parola di quella lingua europea. Dell’Italia Ken aveva sempre immaginato che tutti portassero i baffi (comprese le donne) e che la gente mangiasse pasta anche a colazione. Era cresciuto nel Queens, New York, degli anni novanta. Avrebbe voluto avere qualche storiella allegra da raccontare su quegli anni o qualsiasi altra cosa. Ma la verità è che alle medie gli avevano sempre dato del nerd. Ricordava il tipico gabinetto ove uno dei suoi aguzzini aveva appena pisciato senza tirare giù l’acqua. Ricordava il sapore acre e l’odore nauseabondo dell’acqua quando gli avevano ficcato la testa nella tazza. Ricordava quando al liceo Micheal Barry l’aveva sorpreso mentre si faceva le seghe davanti alle foto della reginetta del ballo Karin Mason. Oh, sì, queste cose le ricordava, anche se non ci teneva a dirle in giro: avrebbero dimostrato quando sfigato fosse in realtà.
«Non capisco perché ti facevi mettere i piedi in testa.» Gli diceva Fumiko Yuki grattandosi il naso con noncuranza. «Sei grande e grosso no? Potevi benissimo fare il culo a tutti quegli stronzi.»
Sì, era grosso. Un metro e novanta di statura, spalle ampie, una criniera rosso fuoco e un barba dello stesso colore a ventisette anni. Ma alle medie era un brufoloso, mingherlino e malaticcio nerd.
«Se vuoi potrei andare a trovarli.» Diceva Fumiko Yuki, lo sguardo lampeggiante. «Potrei fargli assaggiare il legno di mister Johnny!»
Ken appoggiava malinconicamente la testa sulla scrivania. «No. Non mi ricordo neppure i loro nomi, né dove abitano. E comunque non lo puoi fare. Solo io ti posso vedere…»
«Ah, già, questa è davvero sfiga. Però sei maschilista.»
Ken non si prese neppure la briga di chiederle perché fosse maschilista. Per Fumiko Yuki praticamente qualsiasi cosa al mondo era maschilista.
«Lo vuoi sapere perché lo sei?»
«mmmm…»
«Non muggire, sembri… Sembri… Non lo so, sei tu quello che ha fantasia, io i paragoni non li so fare. Comunque ho visto quelle cose che fai dentro al bagno dopo che Julia se ne va.»
«Ma chiudo sempre la porta a chiave.» Protestò Ken.
«Io non esisto, sono solo frutto della tua immaginazione. Conosco tutto quello che conosci tu e non posso sapere le cose che tu non sai. Ciò vale anche per la tua memoria e per i tuoi ricordi.»
«Odio quando cominci a fare discorsi astrusi.»
«E perché?»
«Perché mi fai sentire… stupido… Sì, stupido. Tu non dovresti essere più intelligente di me.»
«Ah, allora vedi che sei maschilista? Comunque, non è giusto quello che fai dentro al bagno. Julia è solo un amica.»
Era vero. Certo, che incredibilmente gentile. Ma Ken non poteva fare a meno di avere fantasie su di lei. Era stata l’unica gentile. La invidiava, sì, la invidiava anche. Lui le donne le invidiava. A loro non importava nulla del sesso, non erano frustrate sessualmente e le donne brutte si facevano suore. Era un ingiustizia. Abbassò lo sguardo prima che Fumiko Yuki potesse intuire i suoi pensieri, sapeva che gli avesse letto nella mente gli avrebbe dato del maschilista e avrebbe usato quello stupido bastone di legno che chiamava mister Johnny per stuprarlo. Certe volte la odiava proprio Fumiko Yuki.
«...So anche che John ti ha parlato di It…»
«No, no, no, no! Non ci voglio voglio parlare con te… Vattene, vattene!» Ken si portò le mani alle orecchie. Lo sapeva che Fumiko Yuki si voleva vendicare, se lo sentiva. Aveva paura di lei quando faceva così, quasi quanto aveva paura di lei la notte, quando si sedeva sul parchè della sua stanza e aspettava l’arrivo del Pagliaccio.
«Non mi puoi cacciare via come hai fatto con John, idiota.» Diceva Fumiko Yuki. «Non mi puoi escludere. Io ci sono e basta. Adesso parliamo di It, eh?»
«No, no, no, io con te non ci parlo. Io non ho niente, ma con te non ci parlo.» Continuò imperterrito Ken.
«Beh, allora perché non mi racconti da dov’è partito tutto?»
Tutto. Da dov’era partito tutto. Forse da quando gli avevano montato l’armadio nuovo, qualche anno prima. No, il Mostriciattolo c’era già. Era l’estate in cui leggeva le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco fino alle sei di mattina. Il Mostriciattolo aveva occhi e sorriso giallo. Era strano come tutti loro avessero la stessa espressione. Per il resto assomigliava vagamente a Gollum, ma era completamente nero. Completamente nero, tanto da confondersi con l’oscurità della stanza. Dopo che aveva cambiato l’armadio, senza più spazio fra il soffitto e la parete del mobile, si era trasferito nell’angolo dietro all’armadio. Qualche volta poteva vederlo affacciare la sua testa nera. E allora si sentiva tremare dalla paura.
«Non ti ho chiesto di pensare al Mostriciattolo.» Fumiko Yuki sospirò esasperata. «Ti ho chiesto di raccontarmi da dove è cominciata.»
Da dove era cominciata. Da dove era cominciata? Forse quand’era adolescente… A undici anni era stato invitato ad una festa, dove avevano visto l’Esorcista. Lui no, ovviamente. Per non vederlo, si era nascosto nella stanza dei videogiochi. Lì aveva giocato a Monkey Island tutto il tempo, cercando di distrarre la mente offendendo più volte l’intelligenza di Guybrush Threepwood. Arrivato al tronco cavo stava cercando il tasto ALT-F13 e stava per telefonare al 113, quando il sottofondo di una voce demoniaca, profonda e ronzante gli era giunto alle orecchie. Non aveva visto nulla. Neanche quella volta non aveva visto nulla.
Ma quella notte qualcosa si era inerpicato sul soffitto della sua stanza.
Anche la seconda volta non ebbe bisogno di guardare il film. Aveva ventitre anni, tutti i suoi amici continuavano a ripetere che The Ring 2 non faceva per niente paura rispetto al primo. Lui del primo aveva visto solo la pubblicità. Solo la pibblicità e quella notte una donna alta, vestita di grigio, con un sorriso sadico, aveva camminato lentamente sul pavimento della sua stanza, una frangia le copriva gli occhi, mentre il resto dei capelli luridi e neri le scivolavano lungo la schiena e ondeggiavano mossi dal vento degli spiriti. Di the Ring 2 vide solo i titoli di testa. Alberi che bruciano in bianco e nero. Musica angosciante. Solo questo ricordava. Quella notte gli alberi che bruciavano gli avevano martellato la testa e il Mostriciattolo era uscito da un pozzo avanzando verso di lui…
«Adesso sì che ci siamo.» Commentò Fumiko Yuki annuendo.
«Non voglio ricordare tutte queste cose.» Borbottò Ken.
«Sì, immagino che questa notte avrai paura.»
«No, non dirlo, non dirlo. Non ci devo pensare. Se non ci penso, allora non avrò paura.»
Fumiko Yuki sbuffò. «Se lo dici tu…»
Ken si sedette alla sua scrivania, pensando che forse avrebbe dovuto continuare a scrivere.
«Hai mai visto un film di cui hai fatto la scenggiatura?» Chiese Fumiko Yuki.
«No.»
«Hai mai visto un film horror?»
«No.»
Fumiko Yuki si distese sul pavimento della stanza. «Penso che tu sia l’unico sceneggiatore di film horror al mondo che non ha mai visto un film horror.»
Era vero. Come sempre, Fumiko Yuki diceva la verità. In effetti, aveva letto tutte le trame dei film horror su wikipedia, ma no, non ne aveva mai visto uno.


«Sai, ho trovato la tua ultima storia davvero bella.» Disse Julia sorridendo.
«Oh. Sì, capisco.» “Cazzo, quanto sto sudando. Cazzo, quanto sto sudando, cazzo quanto sto sudando!”
«Sì, l’ipotetico futuro che hai descritto…» Julia sorseggiò il vino dal suo calice, poi passò con noncuranza la lingua sulle labbra sottili. «E’… E’ così, come posso dire… Reale? Sì, davvero, sembra un affresco, un affresco perfetto, tangibile, insomma lo proprio sentito.»
«Ah… Ehm… Sì, ne… Ne sono felice.» “Sono brutto. Sì, lo so che sono brutto. Scommetto che prova pena per me e mi dice queste cose per accondiscendenza.”
«E poi la protagonista.» Julia ricominciò a mangiare l’insalata di tonno e pomodoro. Sembrava così naturale quando faceva le cose… E così perfetta… «La protagonista è assolutamente fantastica e nevrotica. L’hai curata davvero molto bene. Non so da dove ti è venuta questa idea. Fumiko Yuki è ultra femminista che dopo aver avuto un’infanzia difficile si porta a dietro una clava dalla forma lievemente fallica con cui stupra gli uomini!» Rise. La sua risata era chiara e cristallina. «Beh, sì, a dirlo così fa ridere, ma è veramente molto originale, davvero. Non avevo mai letto una cosa del genere.»
«Oh… Beh, grazie…» “Lo dice solo per accondiscendenza. In realtà mi odia, lo so. Mi odia. Mi trova patetico. Mi trova sfigato. Mi trova brutto. Io sono brutto.”
«…Solitamente gli scrittori uomini non prendono personaggi femminili. O anche se lo fanno li caratterizzano male. Forse è dovuto al fatto che la cultura femminile è sempre stata molto segregata mentre ovunque ti giri vedi cultura maschile. Ecco, penso invece che il tuo romanzo abbia una sensibilità…»
«Sensibilità? Io… Io… Ecco, pensavo… Volevo fare una… Una storia cruenta, cioè… Ehm, cruda… E… E…» “Dio, quanto sto sudando. Scommetto che l’odore lo sente. Sente che puzzo. Cazzo, mi guarderà l’alone sotto le ascelle. Sì, ho l’alone sotto le ascelle, scommetto di avere un alone sudato sotto le ascelle. Adesso mi guarderà schifata...”
«Ah, sì, sì. Non c’è dubbio che sia cruda, certo, è molto crudele. E sanguinosa. Ma non è questo il punto. Tutti possono fare una storia sanguinosa e crudele ma tu hai dato un tocco di sensibilità, di malinconia…»
«Ehm, sì, sì. Insomma volevo… Volevo che la ragazza giapponese…» “Sono orribile. Sono orripilante.”
«Fumiko Yuki.»
«Eh… Cosa?»
Julia gli lanciò un’occhiata. «Si chiama Fumiko Yuki.»
«Ah… Sì, sì, certo. Lo so.» “Non dovevo neppure venire. Dovevo tornare a casa…”
«Stavi dicendo?»
«Stavo dicendo che… Volevo che… Lei fosse un personaggio vero… Non volevo creare una proiezione artificiale di un essere della mia fantasia, volevo dargli corpo…» “Non dovrei uscire. Se privassi il mondo della mia malsana presenza scommetto che sarebbe un posto migliore…”
Julia annuì. «Uhm… Sì, sì, certo, hai perfettamente ragione. Sono… Sono della tua stessa opinione.»
Ken sorrise. “No, non sorridere, deficiente! Hai denti gialli.” «Davvero?»
Julia alzò le spalle. «Al cento per cento.»



«Julia mi sta davvero simpatica.» Disse Fumiko Yuki.
«mmm…» Ken continuò a scrivere davanti allo schermo.
«Dovresti dirle che ti piace.»
«mmm…»
«A un certo punto hai detto una cosa stupidissima… Tipo...» Fumiko Yuki scimmiottò la sua voce. «Non volevo creare una proiezione artificiale di un essere della mia fantasia, volevo dargli corpo. Ma che vuol dire?»
«mmm…»
«Ma mi rispondi, maschilista del cazzo?!»
Ken si voltò scocciato. «Senti, sto cercando di finire la tua storia. Smettila di darmi fastidio. La devo finire prima di sera.»
«Ehi, Ken…»
«Ti ho detto di tacere.»
«…E’ già sera.» Dopo un secondo Fumiko Yuki era svanita.
Ken sentì la sua pelle accapponarsi. Sapeva che sarebbe tornata. Oh, sì, lo sapeva. A notte fonda sarebbe tornata a tormentarlo, e se lui si fosse girato avrebbe usato mister Johnny contro di lui. Fissò l’orologio. Era mezzanotte. Buio. Buio nella calda estate della Florida. Buio attorno a lui. Si alzò lentamente, fissando l’angolo dietro all’armadio. Da un momento all’altro il Mostriciattolo avrebbe potuto affacciarsi, con il suo viso grottesco. Uscì dalla stanza e andò in bagno. Bevve un po’ d’acqua dal rubinetto. Lo faceva sempre prima di coricarsi. Mentre alzava lo sguardo aveva paura di vedere quello che c’era nello specchio. Nei film horror era sempre così, c’era sempre qualcos’altro nello specchio e il protagonista si spaventava. Si chiese cosa avrebbe fatto lui se avesse trovato il viso del Mostricciattolo a fissarlo. Ma quando alzò gli occhi non c’era niente, a parte la sua immagine barbuta. Tornò nella stanza. Come faceva da sei anni, si preparò per la notte. Per la sua guerriglia notturna. Corprì tutte le immagini umane sulla sua scrivania, così non si sarebbero trasformate nel Mostriciattolo. Sistemò la pila delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco sul suo comodino e la pila di manga di Berserk di fianco, così se fosse arrivato il Pagliaccio gli avrebbe tirato un libro addosso. Ovviamente il libro doveva essere fantasy, o non avrebbe funzionato. Appoggiò il suo borsone alla porta per appiattirla contro il muro. La porta doveva essere rigorosamente aperta. Tirò giù la saracinesca e diede un’occhiata all’angolo dietro all’armadio. Non c’era nessuno. Ma Ken era sicuro che quella notte sarebbero venuti. Si sistemò a letto, senza perdere d’occhio l’angolo dietro all’armadio. Mise la mano sull’interruttore della lampada e l’altra pronta a tirare le coperte sul suo viso.
“uno… due… tre!” Spense la luce e ritirò velocemente il braccio, mentre con l’altra mano si tirava le coperte sul volto.
“Ok, ok, adesso calmati. Fa un respiro profondo e calmati. Calma, calma, calma… Basta non pensarci. Pensa… Pensa a Julia, ecco sì, pensiamo a Julia… Pensiamo a Julia…” Ma il viso di Julia diventava pallido, un sorriso ampio, grottesco e appuntito si dipingeva sul suo volto e i suoi occhi diventavano gialli. Poteva pensare a qualsiasi cosa… Poteva pensare a qualsiasi cosa, ma di notte, tutto era terrore. Tutto era paura.
«Hai visto?» Gli disse Fumiko Yuki. Ken non poteva vederla, ma era sicuro che era seduta sul pavimento davanti al letto. «Fra poco arriveranno, e tu cosa farai?»
“Io devo dormire.” Immobile, aveva paura che anche solo a muovere un muscolo sarebbero arrivati. Sentiva il proprio cuore battere nel petto al ritmo di tamburi fantasma ed era sicuro che loro avrebbero sentito. Il sudore iniziava a infradiciarlo.
«Perché non ti giri, Ken?» Gli propose Fumiko Yuki. «Scommetto che quella spalla ti fa male.»
La spalla su cui dormiva gli doleva terribilmente, ma sapeva che se si sarebbe svegliato Fumiko Yuki avrebbe usato mister Johnny contro di lui.
“Non è giusto.” Pensava. “L’ho creata io… L’ho creata io e non dovrebbe fare niente del genere. Senza di me neppure esisterebbe.”
«Perché non pensi alle sceneggiature che ti hanno proposto?» Continuava Fumiko Yuki. «A Saw VII o a… It?»
Sapeva che il Pagliaccio trotterellava verso il suo letto. Trotterellava verso il suo letto con quella strana, surreale camminata. Sapeva che si sarebbe fermato lì, ad un passo dal materasso. Se avesse aperto gli occhi se lo sarebbe trovato di fronte, immobile e sorridente. Ci avrebbe scommesso sopra.
“Se urlo qualcuno mi sentirà?” Il giorno dopo avrebbero trovato il suo cadavere in quel letto, orribilmente macellato e sbranato.
Stavano arrivando, lo sentiva.



Ken sbadigliò, fissando la luce che penetrava dalla finestra. Il caldo sole della Florida lo osservava dalla finestra, quasi a prenderlo in giro. Ken si tastò il viso. La sua barba e i suoi capelli erano grondati di sudore. Anche quella notte nessuno lo aveva ucciso. Perfino Fumiko Yuki era andata a dormire. Sperava che si sarebbe svegliata più tardi possibile. Spalancando le finestre pensò a Julia, e come sarebbe stato svegliarsi accanto a lei. Mentre ci pensava, si infilò la mano nelle mutande, tanto per vedere se ciò che Fumiko Yuki disprezzava tanto c'era ancora. Si sentiva stranamente felice. Decise di rendersi ancora più felice tenendo le mani lì dov’erano.
Quando ebbe finito, sospirò di soddisfazione e pensò che forse avrebbe dovuto lavarsi le mani.
«Già di mattina si fanno queste cose, Ken?» Disse Fumiko Yuki sulla soglia della porta. «Non va bene, a forza di farlo diventerai ceco.»
«Non ho mai avuto problemi di vista.» Le rispose Ken. Poi, con noncuranza, guardò nell’angolo dietro all’armadio.
Non c’era nessuno.
Maestro Aemon
00mercoledì 9 settembre 2009 22:47
Ero indeciso se pubblicare questo racconto o un altro.
Alla fine ho scelto questo un po' perchè rientra nelle 3 pagine, un po' perchè mi ha trasmesso di più quando l'ho scritto, datto che la sera che l'ho buttato giù, qualche anno fa, l'immagine della donna me l'ero immaginata davvero mentre tornavo a casa dopo un allenamento, percorrendo una stradina isolata, poco illuminata.

L'altro l'ho messo nella discussione "Stretching prima della gara - Racconti più o meno brevi" se qualcuno avrà voglia di leggere anche quello poi mi farà sapere se ho fatto la scelta giusta.

Spero vi piaccia il mio:

CONFINATI

Vi è mai sembrato di vedere qualcuno con la coda dell’occhio e poi scoprire che era solo il frutto della vostra immaginazione?
Che quello che per un attimo avevate pensato di vedere non era altro che la sagoma sfocata di qualcosa di normalissimo, ma che vi era parso tutt’altro?

Beh, a me è capitato, e anche molto spesso.
Specialmente quando sono solo. Quando nel labirinto della mia mente la fantasia ed il pensiero si scatenano e mi portano a visitare luoghi inimmaginabili.
Anche quando sto guidando a volte riesco a perdermi nell’eco dei miei pensieri, escludendo la musica martellante che si sprigiona dalla radio, eliminando i rumori dell’auto che sfreccia sull’asfalto.
La notte con la sua natura misteriosa è la padrona incontrastata di questi momenti.
Mi rapisce con una facilità estrema e con la sapienza di un predatore sempre in agguato.
Mi ritrovo spesso a distogliere lo sguardo dalla strada per controllare se ciò che ho visto con la coda dell’occhio è reale o solo un semplice frutto della mia immaginazione. Anche quando le immagini sono troppo assurde per essere vere sento il bisogno di sincerarmene, perché a volte mi si ripresentano ad intervalli regolari.
Scopro così che quello che mi poteva sembrare un uomo chino, raggomitolato su se stesso, come se si stesse disperando inutilmente contro il mondo avverso, non era altro che un sacchetto della spazzatura abbandonato in un angolo.
Oppure un fiero conquistatore, con la sua imponente presenza, lo sguardo austero puntato sull’orizzonte e il mantello che sventola sostenuto da una lieve brezza, è in realtà il palo di una recinzione diverto, con la leggera rete compatta che sventola nella notte.
Quando poi il silenzio è totale, e non vi è nemmeno la radio a distogliermi di tanto in tanto dai miei pensieri, allora la mia mente si sbizzarrisce offuscandomi anche altri sensi oltre alla vista.
Mi è capitato di percorrere una strada isolata, con poche luci a illuminare la via, nel profondo silenzio della notte immota, con solo lo stridio dei pneumatici sull’asfalto e il rombo del motore a spezzare quella quiete. In una di queste circostanze mi è parso di udire un grido straziante, improvviso, scaturito dal nulla, e dal nulla di nuovo inghiottito.
Per un attimo ho rischiato di sbandare, non tanto per il suono improvviso, ma per l’aver visto comparire con la coda dell’occhio, nello specchietto retrovisore, l’immagine di una donna pallida come un cadavere, con la bocca spalancata nella profusione del lamento e i capelli che vorticavano intorno al suo capo, come se fosse adagiata su un letto.
Ovviamente suono e immagine sono durati solo un istante e quando ho focalizzato la mia attenzione sullo specchietto non vi era nulla di strano in macchina, dietro di me.
Forse ciò che più mi ha colpito in quella occasione era la mancanza di quel qualcosa di ordinario che poteva essere travisato.
Il sedile era completamente vuoto, nemmeno i poggiatesta erano posizionati dove si era manifestata quell’immagine, che stavolta si era materializzata dal nulla in uno spazio privo di qualsiasi elemento che ne potesse ricordare vagamente la forma.
La cosa preoccupante è che l’immagine mi si è ripresentata più di una volta ripercorrendo quella strada. Con o senza radio l’urlo riusciva a farmi balzare sul sedile sovrastando ogni rumore con la sua potenza.
Immagino che crediate che io stia impazzendo. Forse è vero. Me lo sono chiesto anch’io più di una volta.
Poi un girono ho deciso di vincere la paura e cercare di capirci qualcosa di più.
In fondo sono sempre stato un fervente sostenitore della teoria che se le cose accadono è per un motivo ben preciso.
Ho ripercorso la stessa strada, senza radio, rallentando il più possibile, in modo che il rumore dell’auto fosse quasi impercettibile. Lo sguardo fisso sull’asfalto, in modo che lo specchietto retrovisore fosse al limite del mio campo visivo.
E riaccadde.
Riudii l’urlo e rividi la donna. Ma questa volta ero pronto e non mi feci cogliere alla sprovvista. Continuai a tenere lo sguardo fisso sull’asfalto, aspettando che l’immagine svanisse.
Ma non avvenne.
Da quel momento capii che non sono loro a palesarsi solo un istante, siamo noi a scacciarli quando tentiamo di mettere a fuoco l’immagine.
Vidi il volto della donna distendere i lineamenti. L’espressione di terrore dissiparsi lentamente fino a svanire. Poi si raddrizzo come se si mettesse seduta dopo essere stata distesa, anche se dalla mia visuale ridotta mi parve solo un leggero cambiamento. Notai la differenza dai capelli che iniziarono a cadergli ordinati sulle spalle.
Volse il suo sguardo verso di me. Il viso finalmente sereno, solcato da un tenero sorriso. “Grazie” mi disse e la sua immagine iniziò a dissiparsi lentamente, come una nube di fumo che si scioglie nell’aria.
Da quella notte mi è apparsa altre volte. Sempre serena e sorridente e ci ho anche parlato.
Mi ha spiegato la loro condizione. Non sono propriamente dei fantasmi. Si definiscono Confinati. Esistono solo al margine della vista, dove l’uomo non può sapere con precisione e razionalità ciò che vede. Sono intrappolati in questo limbo. Costretti a rivivere eternamente i peggiori attimi della loro vita.
Lei era una donna splendida. Amava terribilmente suo marito, cercava di compiacerlo in ogni modo. Poi un giorno lui tornò a casa ubriaco. Dall’odore che emanava si capiva che era appena stato a letto con un’altra donna, se non più di una. Lei non disse una parola, gli si avvicinò e lo baciò. Lui la trascinò in camera e la scaravento con forza sul letto. Le portò le mani alla gola e iniziò a stringere con tutta la sua forza.
“Sei solo una puttana. Tutta sorrisi e miele quando torno a casa, ma so che durante il pomeriggio ti scopi mezzo vicinato.” Non era vero niente. Non l’aveva mai tradito. Come poteva accusarla di una cosa del genere. Proprio ora poi che puzzava ancora del sesso consumato con un’altra.
Cercò di dimenarsi, ma lui era più forte. Poi le stacco le mani dal collo tenendola ferma per una spalla. Estrasse un lungo coltello da una tasca del giubbotto e glielo piantò nel cuore.
In quell’istante mi riapparve l’immagine delle prime volte che l’avevo vista e l’urlo agghiacciante che mi aveva terrorizzato. Questa volta però notai anche una chiazza rossa sulla sua maglietta che prima mi era sembrata far parte del disegno che vi era stampato sopra.
Lei era bloccata lì perché l’uomo che amava l’aveva brutalmente uccisa.
Nelle notti seguenti cercai altri Confinati, per sapere le loro storie, per cercare di capire cosa li aveva ridotti in quello stato e cercare di alleviare le loro pene, qualora possibile.
Non era facile, specialmente perché alcuni di loro si presentavano solo in certe situazioni.
Un’altra storia che mi colpì profondamente fu quella dell’uomo raggomitolato. Si palesava solo quando coloro che occupavano la casa adiacente lasciavano a lato del vialetto il sacco della spazzatura che l’indomani avrebbero gettato. Capii che erano talmente eterei che necessitavano della presenza di qualcosa di materiale per potersi presentare. Nel caso della donna le bastava il vetro della mia auto che attraversava quel punto.
Mi sedetti su un muretto vicino e fissando le macchine che passavano lo vidi comparire, singhiozzando vistosamente.
Mi spiegò che era lì da molti anni. Che aveva commesso qualcosa di atroce, che nessuno al mondo avrebbe potuto perdonarlo. Che lui stesso si dannava per quello che aveva fatto.
Cercai di farmi spiegare qual’era la sua pena, ma non volle dirmelo.
Impiegai diverse sere per persuaderlo, ma alla fine ci riuscii.
Mi raccontò che aveva una moglie adorabile, che qualunque uomo gli avrebbe invidiato. Ma nonostante questo cercava costantemente la compagnia di prostitute per fare cose che alla moglie non osava chiedere anche se sapeva che probabilmente l’avrebbe accontentato.
Poi una notte tornò a casa ubriaco, dopo aver fatto un’orgia con tre battone rimorchiate in strada.
La vide, splendida come sempre. Sempre pronta a perdonarlo, qualsiasi fosse la sua colpa. Un’irrazionale rabbia lo investi. La scaraventò sul letto, e le sfogò contro la sua frustrazione capovolgendo le sorti. Facendola passare per ciò che non era. Cercando di insozzare con mendaci accuse il suo immacolato comportamento, solo per vederle addosso i propri peccati.
Si dipinse in mente il quadro delle sue menzogne e ciò che vide lo disgustò a tal punto da portarlo ad ucciderla, nel tentativo di bandire per sempre i propri peccati.
La pugnalò al cuore e rimase a fissarla mentre la vita la abbandonava.
Poi si alzò, si imbottì di sonniferi e si distese sul divano.
Si addormentò all’istante e dormì un giorno intero.
Quando si svegliò pensò di aver fatto l’incubo peggiore che potesse immaginare.
Cercò sua moglie per raccontarglielo e riderci sopra per sdrammatizzarlo, come facevano spesso.
Quando la vide sul letto in un lago di sangue gli crollo il mondo addosso.
Piangendo ed urlando come un forsennato uscì in strada. Corse finché non ebbe più fiato in corpo. Poi stremato si accasciò in quell’angolo, con la consapevolezza di ciò che aveva fatto che piano piano faceva breccia nella sua mente, riproponendogli ogni istante di ciò che aveva compiuto.
Lo vidi stringersi ancora più forte le braccia intorno al corpo, poi sembrò accorgersi di avere qualcosa in tasca. Estrasse il coltello con il sangue raggrumato della moglie. Lo fisso allibito, con un torrente di lacrime che gli solcavano il viso. Si mise in ginocchio, tenendo il coltello con entrambe le mani. Lo appoggiò a terra tenendo saldamente la punta rivolta verso l’alto. “Perdonami” e con uno scatto del capo se lo piantò in mezzo al cranio.
Mi alzai piangendo e mi allontanai in silenzio nella notte, dopo averlo visto svanire com’era successo quella prima volta con sua moglie.
Avrei voluto aiutarli, cercare di farli incontrare almeno un’altra volta, portarli l’uno dall’altra, anche se non avevo idea di come fare. Nelle notti precedenti avevo scoperto che l’immagine della moglie svaniva se compivo più di qualche metro e lui invece non riusciva a muoversi di un solo passo.
Evidentemente non potevano abbandonare il luogo in cui erano morti.
Tornato a casa tentai inutilmente di prendere sonno.
Non riuscivo a non pensare alla loro storia ed ero ossessionato dall’idea che potevo fare qualcosa per loro, che in qualche modo dovevo riuscire a donargli un po’ di pace.
Tornai in auto in quella stradina, lentamente come sempre, iniziai a percorrere quei pochi metri che ormai conoscevo a memoria, dove tante volte l’avevo incontrata.
Ma non accadde nulla.
Ci provai e riprovai in continuazione per un tempo che mi parve infinito, poi decisi di tornare da lui.
Il sacco era ancora lì, come l’avevo lasciato qualche ora prima.
Mi posizionai nello stesso punto e fissando nuovamente il traffico aspettai.
Ma non mi apparve.
Provai ancora nelle notti seguenti, ma non li rividi mai più.
Forse quello che potevo fare per loro l’avevo già fatto.
Forse avevano solo bisogno di qualcuno che conoscesse la loro storia.
Mance
00giovedì 24 settembre 2009 22:41
UN DOLOROSO CAMMINO

“Svegliati...”
Una parola sussurrata dolcemente da una voce mai udita prima.
“Svegliati...”
Insistette di nuovo.
Artax aprì gli occhi. Vide l’azzurro del cielo e qualche ramo di quercia che cercava invano di nasconderlo al suo campo visivo. Cercò di muoversi, ma un dolore acutissimo lo costrinse ad emettere un gemito e a chiudere ancora gli occhi. Dopo qualche secondo il dolore si attenuò, riaprì le palpebre e con molta attenzione riprovò a muoversi. Lentamente acquistò una posizione semiseduta e si guardò intorno. Si trovava in un boschetto rado, formato da querce e castagni ai piedi di un precipizio roccioso.
Ruotando piano il capo, nonostante il forte dolore alla nuca e ad entrambi gli arti di destra, vide il suo cavallo o meglio il cadavere di quello che un tempo era Manto, il possente purosangue bianco del capitano delle guardie del reame di Hladir. Il suo corpo era coperto di lividi e lacerazioni profonde, la testa insolitamente riversa all’indietro con gli occhi sbarrati ad osservarlo e rivoli di sangue che, provenienti da diverse parti, confluivano a terra formando una piccola pozza rossa. Nuvole di mosche si alzavano per poi ricadere poco più a destra o a sinistra lungo tutto il corpo dell’animale. Artax avvicinò lo sguardo su di sé, era in armatura leggera. Osservando meglio notò che quest’ultima era letteralmente costellata d'ammaccature, soprattutto nel suo lato destro, quello dolente.
“Il sacco...”
Quella voce proveniente dall’intimo gli riportò alla mente il suo incarico.
“Il sacco, prendilo...”
Andò allora perlustrando con lo sguardo tutto intorno a sé fino a che, pochi metri alle sue spalle, vide una specie di sacca di cuoio. Lentamente si alzò. Una volta in piedi fu preso da un forte senso di nausea unito a vertigini, che lo fecero barcollare. Cercò di resistere. Ci volle qualche minuto per permettere al capitano di riacquistare la lucidità e la sicurezza necessarie ad avanzare verso quella strana sacca. Una volta raggiunta, si chinò piano per prenderla. Ogni piccolo movimento gli causava dolori al limite della tolleranza in ogni parte del corpo, rallentandone le movenze. Mise la sacca a tracolla e si voltò verso quella salita scoscesa che aveva visto in precedenza.
Osservandola meglio notò che pietre e arbusti erano stati mossi o spezzati di recente, poi portò lo sguardo al suo cavallo e cominciò a capire cosa era accaduto.
“Sbrigati, la tua missione...” Gli fece notare di nuovo quella voce.
Artax lentamente cominciò a ricordare che doveva portare quella sacca ad Oldtower, a nord oltre le foreste di Melhia. In apparenza, era un compito semplice e non riusciva a capire o a ricordare cosa potesse essere andato storto.
All’improvviso fu colpito da un atroce dolore alla testa. Istintivamente portò le mani al volto, chiuse gli occhi e cadde in ginocchio. Attese, agonizzante, lo svanire di quella sofferenza mai provata in passato, anche se quel momento arrivò solo dopo parecchi minuti.
Prese di nuovo a camminare nel tentativo di scovare un sentiero che gli permettesse di risalire quel precipizio. Il dolore alla testa era per lui un tormento angoscioso, di tanto in tanto si appoggiava a tronchi di quercia o di castagno per prendere fiato, lasciando un alone rossastro ogni volta che con la mano toccava il legno. Comprese che doveva sanguinare copiosamente, ma non aveva il tempo di curarsene, doveva cercare aiuto e subito, consapevole del fatto che se avesse aspettato troppo, sarebbe morto.
Dopo alcuni minuti ebbe la fortuna sperata e trovò un ripido sentiero che risaliva le pendici di quell’alto colle. Ad ogni passo sentiva le pulsazioni del cuore rimbombargli nella testa, simili a tamburi lenti ma inesorabilmente costanti. La spalla e la gamba destra facevano sempre più male.
Anche se non sapeva dire quanto, era ormai parecchio tempo che il capitano camminava lungo quel ripido sentiero, quando di fronte a lui si presentò la fine della salita. Poche decine di metri lo distanziavano dalla sommità e questo gli diede un poco di forza in più. Ansimante e dolorante cercò di affrettare il passo ma quello che ottenne fu solo una fitta allucinante alla testa che lo costrinse a fermarsi e a ripiegarsi ancora su se stesso con le mani e le braccia avvinghiate attorno alla tempie. Restò così per un periodo indefinito, poi il dolore attenuò e piano piano riprese a guadagnare la cima.
Avanzava con lo sguardo fisso a terra, la mano sinistra a premere contro la fronte nella speranza di soffocare un po’ quel dolore insopportabile. Ad un tratto, con i piedi urtò qualcosa. Alzò di poco lo sguardo e gli si presentò uno spettacolo orribile. Aveva guadagnato il pianoro che stava alla sommità del colle, luogo dove evidentemente si era svolta una tremenda battaglia. Qua e là giacevano i corpi di una ventina di cavalieri e di un numero imprecisato di uomini rozzamente armati. Artax riconobbe alcuni dei componenti della guardia reale; Olec aveva il cranio spaccato in due e giaceva a pochi metri da Nestor, che si presentava con una lunga picca piantata nello stomaco. Jaime invece, che era anche il suo vice oltre che suo amatissimo amico, stava proprio davanti a lui, con la faccia immersa in una pozza di sangue.
Via via che attraversava il pianoro realizzò che tutti quelli che un tempo sottostavano ai suoi ordini ora giacevano lì a terra, morti. Cominciò a pensare di esser stato fortunato. Evidentemente un nemico l’aveva spinto verso il dirupo e il suo cavallo, nell’impeto della battaglia, era scivolato portando con sé il suo cavaliere e con molta probabilità anche l’oggetto causa di tutto quel massacro.
“Veloce, non perdere tempo...” sussurrò un’altra volta quella voce dentro di lui.
Un’altra fitta al capo, ma questa volta accompagnato da un inaspettato senso di torpore. Si guardò intorno di nuovo e capì che nessuno dei suoi uomini era sopravvissuto; decise di rimettersi in cammino sia per evitare di essere ritrovato dai suoi assalitori, sia per l’impellente bisogno di aiuto. Avanzava tra i cadaveri di entrambi gli schieramenti con estrema lentezza, indotta da quel dolore acuto che a poco a poco lasciava strada ad un sinistro torpore. Sensazione ormai gradita nonostante l’inquietudine che gli incuteva nel profondo dell’animo.
Lasciò alle spalle il pianoro e dopo di esso anche una piccola discesa boscosa.
Ad un tratto sentì una voce. Si fermò. Un canto allegro di bambina gli riportò una piccola inaspettata speranza.
“Muoviti, non perdere tempo.” replicò ancora la voce.
Ancora una fitta al capo, seguita dal solito torpore che ormai, in sostituzione al primo, cominciava ad apprezzare. Si mosse in avanti quasi senza accorgersene e in breve fu a pochi metri da una casa, che con molta probabilità apparteneva a qualche taglialegna. Il canto era continuo e allo stesso tempo familiare. Narrava, infatti, il ritorno di un cavaliere da un’impresa ai confini del regno: era la Storia di Ser Arland, il Valoroso, di ritorno dalla Guerra dei sei anni.
Aggirò la costruzione cercando il luogo da dove proveniva quell'allegra melodia. Passò un piccolo porticato seguito dal lato occidentale della casa fino a giungere in un piccolo giardino cinto da un muretto di pietre a secco. Vide la bimba che giocava con due bambole di pezza, difficilmente individuabili come un cavaliere e una dama di corte, ma sufficienti per permettere alla bimba di immaginarvi i protagonisti della sua canzone. Artax abbozzò un sorriso; ora si sentiva salvo, la bimba lo avrebbe accompagnato in casa e avrebbe chiamato suo padre o sua madre e lui avrebbe ricevuto le cure necessarie. Si avvicinò piano alla bambina che, giocando e cantando, non si era accorta di lui dandogli le spalle. Tentò di parlare, ma quello che ne uscì fu un soffio di voce indefinita, non una parola comprensibile. La fanciulla si voltò e gli occhi le si spalancarono. Le due bambole caddero a terra e dopo un breve attimo si levò un urlo di paura. Artax fu come travolto da quel grido. Una nuova ondata di dolore lo investì, chinò il capo, accostò la mano sinistra alla nuca e con la destra rivolta in avanti, mosse verso la piccola che immobile continuava ad urlare. Il capitano percorse quei pochi metri che li separavano quasi alla ceca. Quell’urlo era insopportabile alle sue orecchie. Voleva solo aiuto, ma doveva prima calmare la bambina o l’avrebbe reso pazzo dal dolore, per non parlare poi dei suoi misteriosi assalitori che avrebbero udito quel grido in tutta la foresta.
In un attimo fu sulla bimba, la mano destra protesa in avanti.
“Non urlare... ti prego... voglio aiuto... null’altro... aiutami... ti prego.” Questo avrebbe voluto dirgli, ma stava soffrendo troppo per poter parlare. Con lentezza estrema, ma deciso cercò quella bocca innocente con la mano e serrò la presa. A poco a poco l’urlo si attenuò, lasciando cadere Artax in quello strano torpore che sempre più volte e più a lungo seguiva quel male intollerabile.
Quando l’urlo svanì il cavaliere aprì di nuovo gli occhi sospirando, sebbene restasse intontito. Con la mano ancora serrata contro la pelle liscia della bimba, alzò lo sguardo verso di lei. Impaurito, mollò la presa e arretrò. Il piccolo corpo cadde a terra esanime, col collo spezzato. Incredulo e impaurito Artax rimase ad osservarlo qualche secondo. “Non è possibile... non è vero... non ho stretto così forte... volevo tappargli la bocca e basta.” pensò. Poi udì dei cani abbaiare e subito dopo la voce di un uomo: – Rebecca! Rebecca, che è successo! Rispondi Rebecca!
La paura lo colse all’improvviso, si voltò e prese a camminare il più velocemente possibile. Vedeva quasi tutto annebbiato e trascinava ormai la gamba destra come un mutilato strascica la sua gamba di legno. Unica cosa positiva era che il dolore stava scomparendo del tutto per lasciare il posto a quello strano torpore portatore di sollievo.
Dopo pochi minuti sentì l’urlo disperato di un uomo. Era chiaro che il padre della bambina l’aveva ritrovata, in terra, là dove lui l’aveva abbandonata priva di vita.
Passò un piccolo promontorio, poi entrò in una discesa più fitta di alberi, quando udì ancora un latrato di cani. Lo stavano seguendo. Disperato percorse il pendio fino a quando udì lo scorrere dell’acqua di un ruscello; se lo avesse raggiunto e percorso fino a valle i cani di un taglialegna non avrebbero potuto fiutarlo o perlomeno avrebbero avuto molta difficoltà. I latrati si facevano via via più forti quando sbucò dagli alberi. Il letto del torrente era largo una ventina di metri, ma il rigagnolo d’acqua ne occupava solo cinque o sei. La vista si annebbiò ulteriormente. Artax si fermò e barcollando chiuse gli occhi. Respirò profondamente e poi li riaprì. Fece quel gesto altre due volte, ma tutto fu inutile.
Lo sorprese una risata, composta ma inquietante. Si voltò. Un uomo completamente nascosto in un lungo mantello nero bordato di porpora era a pochi metri da lui. Era visibile solo la parte inferiore del viso, mentre il resto era celato dal cappuccio.
“Finalmente! Ti aspettavo.” udì Artax, che incredulo inarcò le sopracciglia e piegò leggermente il capo. Il torpore ora era più intenso. Il comandante della guardia, che faceva fatica a stare in piedi, non riusciva a capire. L’uomo allungò una mano.
“Dammi il tuo sacco, Artax. Non c’è tempo.”
Il cavaliere rimase immobile e stupito. Non credeva ai suoi occhi, quel misterioso uomo aveva parlato senza aprire la bocca, senza muovere le labbra.
“Dai dammelo, sono la tua unica salvezza!”replicò lo sconosciuto.
Artax portò una mano alla sacca e arretrò di un passo.
“Povero stolto! La sacca!”
Una fitta di dolore al capo lo colpì ancora; era così intensa che lo costrinse a cadere sulle ginocchia. Questa volta però quel tanto apprezzato torpore tardava ad arrivare, mentre il dolore atroce proseguiva. Stremato da quella sofferenza Artax lentamente prese il sacco e con uno sforzo enorme lo gettò a terra davanti a lui. Il dolore cessò all’improvviso lasciando spazio al solito e ormai amato torpore. Quell’uomo misterioso sfociò in una nuova risata, ma di nuovo nessun movimento era visibile sul suo volto. Raccolse il sacco e indicò con una mano il corso d’acqua.
“Non capisci perché rido? Be’, guarda con i tuoi occhi.”
Si voltò e se ne andò accompagnato da quello strano ghigno. Artax si diresse carponi verso il ruscello ormai al limite dell’incoscienza. Guadagnò quei pochi metri e giunse col volto sopra l’acqua corrente. Inizialmente non capì ciò che gli si parava davanti. Un volto disumano, coperto da sangue raffermo ovunque, ma la cosa peggiore era quella parte di cervello esposta all’aria nel punto in cui il cranio presentava una profonda lacerazione, forse provocata da un colpo d’ascia. Poco prima che quello strano torpore lo pervase interamente e per l’ultima volta realizzò tutto.
Un suono strano, a metà tra un lamento e un urlo disperato si propagò lungo quel ruscello e in tutta la foresta. Mentre i cani raggiungevano il corso d’acqua abbaiando e ringhiando, l’uomo col mantello nero, ormai al sicuro tra gli alberi, estrasse dal sacco un monile argenteo con incise strane iscrizioni in una lingua antica. Lo osservò con attenzione. Questa volta le labbra del negromante si mossero a disegnare un soddisfatto ghigno malefico.

Balmo
00giovedì 24 settembre 2009 23:37
L’Oracolo.


Silenzio.
L’aria del mattino era pura e fresca, il cielo blu profondo si schiariva pian piano con le prime luci dell’alba.
Silenzio, tranne il suo respiro affaticato e il suono dei suoi passi, rumori che lo accompagnavano da molti giorni.
Nel silenzio il cavaliere avanzava lentamente, leggermente curvo lungo il sentiero che si inerpicava per l’altura pietrosa. Il mantello grigio che lo copriva era ormai sgualcito e liso in più punti, gli stivali di pelle consumati e infangati; la casacca e le brache sotto il mantello non avevano subito miglior sorte.
Era stanco, aveva proseguito il viaggio tutta la notte, ma non poteva fermarsi: non ora che la meta era così vicina.
Il sentiero diritto si apriva a poca distanza su un vasto spazio pianeggiante, in fondo al quale il paesaggio roccioso cedeva il passo a un folto boschetto.
Era lì la sua meta, sapeva, e con l’approssimarsi della fine della sua ricerca, sentiva crescere la tensione dell’attesa.
Il boschetto dell’Oracolo, così lo chiamavano.
Il sentiero si inoltrava nel boschetto, delimitato dagli alberi. Dopo qualche tempo, quando ormai il cielo si stava schiarendo oltre le alte colline alle sue spalle, il cavaliere intravide una radura alla fine del sentiero. Percorse l’ultimo tratto con tranquillità come se assistesse al compiersi del corso naturale degli eventi.
Poi in lui cominciò a farsi sentire la paura: “ti esaminerà, per vedere se sei degno” gli avevano detto. Lentamente, con il cuore in gola, si avvicinò.
Si trovava davanti a una pozza semicircolare di circa una ventina di metri, addossata a una parete di roccia. Al centro, sporgente dalla parete di roccia, c’era un isolotto di terra, su cui cresceva un unico grande albero, carico di frutti, i cui rami si protendevano sopra alla superficie liquida. Nelle prime luci del giorno erano a malapena distinguibili i colori: il liquido sembrava di un colore blu scuro, i frutti erano rossastri.
Il cavaliere ristette per qualche istante, cercando il coraggio, e guardandosi intorno per controllare se c’erano altre soluzioni, ma non ne trovò: avrebbe dovuto immergersi.
Si slacciò il mantello, esitò per un poco, ma in fondo questa era l’ultima prova di una lunga serie, ne aveva affrontate tante altre.
Avanzò cautamente. Appena immerse il piede nell’acqua, vide lo stivale impregnarsi molto rapidamente; il liquido salì veloce, e nel momento in cui ne sentì il freddo tocco sul polpaccio, si affrettò a ritirare il piede.
Il cuore gli martellava nel petto: qualche gocciolina stava ancora risalendo – come se stesse scorrendo, ma verso l’alto anziché verso il basso! – e fu presto assorbita dal tessuto delle brache. Perplesso, per un momento si chiese cosa fare. Decise che se voleva raggiungere l’isolotto doveva farlo in fretta: prese la rincorsa e si immerse di slancio.
In pochi attimi si accorse che non ce l’avrebbe fatta: il liquido non era molto profondo, arrivava appena sopra al ginocchio, ma sembrava molto più denso dell’acqua; preso dal panico, fu costretto a fermarsi, mentre sentiva il freddo tocco della sostanza risalire lungo le cosce e oltre la cintura, appiccicandogli la tunica alla pelle. Stava per prepararsi a tornare indietro, trattenendo il fiato, quando si rese conto che il liquido, arrivato all’altezza del cuore, si era fermato. Dopo poco sentì che stava scendendo, e presto si ritrovò asciutto, come se il liquido si fosse ritratto anche dalle parti delle gambe ancora immerse.
Perplesso, ancora fermo in mezzo alla pozza, ebbe un sussulto quando udì un tonfo davanti a sé; uno dei frutti dell’albero, grosso quanto un pugno, era caduto, e presto fu seguito da altri. I frutti caduti nel liquido blu cominciarono a ribollire oltre la superficie, sprigionando un fumo denso. Il fumo si raccolse davanti al cavaliere, assumendo la forma di un cerchio di nebbia semicircolare, dentro cui le mutevoli volute di fumo si addensavano e si diradavano, finché all’interno non furono riconoscibili le forme di un volto.
Prima indefinito, il volto cominciò ad assumere le caratteristiche di una donna di mezza età, dai lineamenti duri e regolari, l’espressione seria.
«Benvenuto, Cavaliere».
Quando parlò, la donna non lo fece con voce femminile, ma con una voce corale, unione di voci giovani e vecchie, di donne e di uomini; essa sembrava provenire da tutt’intorno, tanto che il cavaliere si chiese se non la sentisse solo dentro la sua mente.
«Ti stavo aspettando» aggiunse l’Oracolo, e in un attimo, in un breve volteggiare di fumo, non fu più il volto di una donna che aveva davanti, ma quello di un uomo dal volto arcigno, l’espressione accentuata dalle folte sopracciglia.
«Io ti posso dare le risposte che cerchi» disse.
«Io posso vedere nel passato e nel futuro» aggiunse, inarcando le sopracciglia, «E so già cosa sei venuto a cercare».
Un istante dopo era una giovane donna che parlava, dal viso pallido, i capelli biondissimi e cristallini occhi azzurri: «La verità» disse.
Poi tacque, lo sguardo fisso su di lui. Il cavaliere capì che era giunto il suo momento; il suo momento per parlare, il suo momento per chiedere.
E per avere una risposta.
«Grande oracolo, il mio viaggio è stato lungo e faticoso, e mi ha condotto attraverso mille avventure. Ho inseguito i miei sogni, fuori e dentro me. Ho dovuto affrontare mostri di ogni tipo: i serpenti soffocanti delle mie paure, i tentacoli pungenti delle mie insicurezze, i vermi infuocati delle mie delusioni.» La sua voce, inizialmente esitante, si fece più sicura, man mano che il suo pensiero acquisiva chiarezza.
Rivide i volti, le donne, i compagni, rivisse il sudore e l’ebbrezza. Rivisse i tempi luminosi e i tempi bui, e le sorprese che la vita regolarmente gli aveva riservato ogni volta che si aspettava che le cose andassero in un certo modo.
«Ho cercato l’amicizia, l’amore, il potere. Tutto quello che ho trovato sono i frammenti dei miei sogni. Ora sono ferito e confuso, e temo che sia stato tutto invano».
La donna aveva continuato a guardarlo, dall’interno della debole iridescenza della nebbiolina sospesa davanti a lui. Il cavaliere sostenne il suo sguardo, nella muta richiesta che gli indicasse la strada; alle sue spalle la luce dietro alle colline aveva assunto tinte dorate.
In un battito di ciglia un vecchio dalla lunga barba bianca gli stava parlando:
«Non temere, cavaliere. La strada che hai seguito è quella giusta. »
Poi continuò: «Non sperare di raggiungerli, ma non cessare di inseguire i tuoi sogni».
«Mai…» aggiunse.
«…Mai.. » ripeté un giovane uomo;
«…Mai…»: una bambina sorridente.

L’oracolo tacque, e in quel momento il primo raggio di sole spuntò alle spalle dell’uomo: davanti a sé scorgeva ora solo la sua ombra proiettata su una nuvoletta di fumo che si dissolveva rapidamente, e che in un attimo non fu più.


Benjen Stark
00venerdì 25 settembre 2009 13:08
Spero di essere ancora in tempo, mi pare che il termine ultimo fosse stato prorogato fino al 30 settembre.
Proprio in questi giorni mi ero messo di gran lena per scrivere un racconto, ma è ancora troppo acerbo per essere pubblicato, ma soprattutto troppo poco il tempo per venire ultimato come si deve.
Giusto per la voglia di partecipare pubblico il primo racconto che scrissi tempo fa; gli ho fatto appena una piccola revisione, non è un granché ma io ci sono affezionato! [SM=x204860]


Adunanza

La pioggia è cessata.
Da diluvio flagellante a debole stillicidio. Il vento ha smorzato il suo impeto, lambendo con più clemenza i simulacri di quel desolante mosaico che ancora vi ostinate a chiamare villaggio, retaggio di un mondo che è andato avanti, memento della follia umana.
Anche le tenebre sono calate sulla regione di Torquemada. Uno sconfinato ed arido deserto di cenere e macerie. Refoli di fumo vanno ormai sbiadendo, ultimo ricordo dei roghi mercenari. Tre giorni di freddo acciaio e fiamme ardenti, per celebrare i mastini della guerra. Un giorno di lacrime e desolazione, per ricordare i morti. Le ombre ghermiscono i ruderi degli edifici smembrati e delle strade slabbrate, adornate da sadici menhir: uomini, donne e bambini mutilati ed impalati, tributo alla Guerra Eterna, elogio alla spietatezza dei Demiurghi della battaglia.
Dall’alba dei tempi i Custodi del Vadar sapevano sarebbe accaduto, che sarebbe stato inevitabile. Aspettavano solo che i tempi fossero maturi per rivelare il segreto mantenuto celato per millenni. Ma l’uomo è rimasto sordo al Conclave dei Venerabili, ignorando le loro esortazioni; tronfio del progresso tecnologico acquisito, ha preferito mettere in campo la propria conoscenza chimico-bellica, piuttosto che rassegnarsi dinnanzi ad un invasore inconcepibile per la maggior parte delle vostre menti.
Perché il tempo è giunto, e il tempo, indipendentemente dalle molteplici credenze religiose, ha un nome univoco: Adunanza. Gli anfratti ancestrali che custodivano le bestie infernali sono stati scardinati, vomitando sulla Terra i suoi abitanti primordiali. Un lungo, non-eterno letargo: ed ora hanno fame. Comandati dall’Arconte, i Principe del Sangue vi hanno invaso alla testa di sanguinarie legioni di demoni e non-morti. Inutili i mezzi convenzionali utilizzati dall’uomo per contrastare l’infernale avanzata degli abomini, efficaci solo ad anticipare la propria disfatta. E il risultato ottenuto è questo: Terre Desolate.
Ma in un mondo che sembrava dover soccombere o essere reso schiavo dai demoni, in una terra che si ostentava a riconoscere dopo il flagello nucleare, qualcuno seppe contrapporsi all’avanzata del nemico. Solo la Sacra Falange del Conclave è riuscita a battersi con tenacia contro le orde dei Principi del Sangue, scatenando una Guerra Divina dalla portata ancora più catastrofica delle armi nucleari. Una guerra cruenta e abominevole, la Guerra Eterna. Un conflitto in cui non c’è riconoscimento per l’onore ed il coraggio, solamente cordoglio e stragi di innocenti. I fiumi si dipingono del rosso purpureo del sangue, le città trasformate in spettrali catacombe, tutto il mondo stravolto ed ammorbato dalla minaccia abissale, più nera e profonda del Baratro di Abaddon.

Io sono l’Osservatore, a questo compito mi limito, non ho desiderio né poteri tali per alimentare la speranza che un giorno tutto questo sarà solo un brutto ricordo: illusioni. L’unica cosa certa è che dovrete morire, dipende solo come: vittime sacrificali, peste, fame, solitudine, disperazione.
Ma sono elucubrazioni in cui non mi diletto e soffermo troppo, francamente non mi interessa affatto della sorte dell’umanità, sono solamente un’entità astratta che trascende lo spazio ed il tempo: e osservo.

Dalla verdastra foschia miasmatica che ammorba il borgo dilaniato dalla Guerra Eterna e flagellato dalla peste, emerge un viandante. Indossa un saio color della cenere, l’ampia falda del cappuccio che getta in penombra il suo volto; in mano regge un bastone di legno decorato con svariate campanelle che tintinnano ad ogni suo passo, peana alla morte. Dagli edifici slabbrati e diroccati occhi languidi e timorosi lo seguono lungo il suo tragitto, incapaci di comprendere quale motivazione possa spingere quel reietto a vagare di notte. Quale insulsa motivazione possa spingere quel pellegrino a non indietreggiare dinnanzi la minaccia palpabile dei Demoni, che da giorni assediano quel villaggio in cerca di carne umana.
Lo straniero sembra rimanere indifferente all’aria avvelenata ed alle schiere infernali che ora lo accerchiano, bramando il loro tributo di carne, fameliche. Bava nerastra che cola tra quelle fauci predatrici, una facile vittima per loro il pellegrino. Ma ignorano che quello che considerano il loro pasto, noi lo chiamiamo Argodadh: uomini che hanno abbracciato le tenebre per combattere le tenebre stesse, uomini tramutati in bestia per combattere le bestie stesse. E lui è l’ultimo degli Argodadh, veterano della Guerra Eterna, comandante della Sacra Falange del Conclave: Ramsay, l’Ecatombe.
Gli occhi glauchi, pallidi come la morte, passano in rassegna le bestie immonde che vogliono sovrastarlo, annientarlo. Ferma il proprio incedere, pianta a terra il bastone. L’atmosfera si carica di sacralità quando il canto gutturale che s’innalza dalla sua voce si espande tutt’attorno; parole antiche come la Terra, inno alla battaglia. I demoni retrocedono di qualche passo confabulando tra loro in quel linguaggio arcano, stridulo, probabilmente hanno capito. Ma è troppo tardi.
Un’aura intangibile, con fulcro l’Argodadh, s’espande con impeto furioso, dando avvio alla metamorfosi. Muscoli si contorcono, membra si dilatano, ossa si frantumano e ricompongono, conferendo al pellegrino la sua vera forma: un corpo interamente coperto di peli rossi e neri, zampe, artigli, corna, fauci affilate e ampie ali simili a quelle dei pipistrelli. Ultimo fra i dannati, bestia tra le bestie. Un urlo agghiacciante si leva dalle sue fauci ed il mattatoio ha inizio. Ecatombe.
Il tutto avviene nella frazione di pochi minuti, i demoni soccombono alla ferocia oscura che alimenta gli attacchi dell’Argodadh. Nessuna clemenza nelle Terre Desolate, nessuna esitazione nel campo da combattimento. Il nemico: carne da macello.
Esultano gli uomini dinnanzi a quello scempio di abomini. Accorrono, incuranti dei veleni tossici che il vento mordente porta nell’aria, ad acclamare a gran voce il loro campione. Ramsay si volta verso la folla di reietti, imponente creatura ammantata di blasfeme vestigia. E’ il loro Eroe. S’inginocchiano salmodiando preghiere strampalate, piangono ignari che quella battaglia è solo una parvenza di gioia in quel mondo che è andato avanti; ma l’uomo è fatto così, ha bisogno d’illudersi.
L’Argodadh avanza con portamento sacrale tra loro, venerato come fosse un Dio. Forse lo è. Gli occhi sono ancora febbrili, bramano qualcosa? Nessuno pare dargliene importanza. Lui è il Salvatore.
Un battito d’ali e l’Argodadh prende quota, ma non è solo: tra le braccia stringe un bambino, sorride il pargolo credendolo un gioco. Si alzano così gli sguardi dei presenti, alcuni sorridono, altri perseverano con le loro lodi mistiche, altri applaudono: un siparietto da teatro.
Ma tutti rimangono interdetti alle parole gutturali pronunciate dall’uomo maledetto, idioma incomprensibile; a loro ma non a me.
T R I BU T O.



Ser Andrew
00mercoledì 30 settembre 2009 14:00
Avrei voluto fare un racconto più lungo, come credo si possa evincere dal "parte prima". Tuttavia penso di non farcela a completare la "parte seconda" prima di stasera quindi posto intanto questa parte, che credo comunque possa costituire già da sè un breve racconto.
Ser Andrew
00mercoledì 30 settembre 2009 14:00
LA PRIMA BATTAGLIA – parte I
Andrea Beltrachini


Erano stati reclutati in tutta fretta dalle milizie del duca.
Al piccolo villaggio di Huntington era arrivata una squadra di armigeri, comandati da un sergente grosso e pelato, dal volto rubizzo di chi è abituato a non lesinare con la birra.
“Lord Arthur” aveva iniziato a declamare il pelato dopo aver raggiunto il centro della piazza del mercato.
Ma la sua voce uscì roca e impastata di catarro. Si schiarì la voce: “... Lord Arthur...”
Ma ancora una volta il catarro lo tradì.
Dovette tossicchiare, sputare per terra e finalmente, riuscì, con voce sufficientemente chiara, ad iniziare la propria orazione.
“...Lord Arthur, il nobile signore di queste terre, comanda a tutti i suoi sudditti di età compresa tra i sedici ed i cinquanta anni di arruolarsi nell'esercito ducale. Il conte Walford... “ e qui un grido di sorpresa e spavento si levò dai presenti “... ha radunato un piccolo esercito e sta marciando verso queste terre. E' compito di ogni leale suddito di Lord Arthur prestare la propria opera, e se del caso anche la propria vita, affinchè gli invasori vengano respinti.”

Il feudo del conte Walford confinava con quello di lord Arthur e, da molti anni, i due erano soliti scambiarsi questo genere di cortesie: piccole scaramucce, razzie di bestiame, addirittura qualche rapimento di qualche bella fanciulla nei villaggi vicino al confine. Normali rapporti di buon vicinato, ormai frutto della consuetudine, essendo ormai perduto il ricordo dell'episodio che scatenò questo costante scambio di cortesie tra i due nobili dirimpettai. “Attento che se non fai il bravo poi arriva il conte Walford e ti porta via...” così le madri di Huntington minacciavano spesso i figli un po' troppo birbanti. E, c'è da giurarci, lord Arthur era spesso pronunciato con voce cavernosa dalle madri della contea di Walford.

Il giovane Sigfrid, sedici anni appena compiuti, capelli biondi, occhi azzurri ed un sorriso che già faceva battere i cuori delle fanciulle di Huntington si trovò così davanti al sergente pelato, che, finito il proprio discorso, aveva iniziato le procedure dell'arruolamento.
“Nome?” chiese il sergente, la voce ritornata catarrosa era ora accompagnata da una forte fiatata alcolica.
“Sigfrid signore”
Quello alzò la testa, scrutò il ragazzo per un istante e poi chinò gli occhi sul registro militare.

SIGFRID DI HUNTINGTON

La grafia del sergente era ampia e traballante. Era evidente che non era nato per scrivere.
Rialzò di nuovo gli occhi.
“Firma qui ragazzo” ed indicò col grosso indice uno spazio bianco di fianco alla scritta appena tracciata.
“Non so scrivere signore”.
Il sergente annuì per nulla sorpreso, gettò un'occhiata arrogante al giovane ed infine gli disse : “Va bene allora fai soltanto una croce. E poi levati dai piedi.”
Con mano un po' tremante Sigfrid tracciò la croce.
“Hahaha perfetto e ora su sparisci”.
Il giovane stava già andando dove si erano radunate le altre reclute quando il pelato parve ripensarci e lo fermò con un gesto della mano.
Guardò ancora una volta il giovane ma rivolse un sorriso sadico all'armigero alla propria destra
“Vedrai ragazzo un po' di tempo nell' esercito e diventerai un vero uomo”.
Poi lo congedò con un gesto, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.
E fu così che Sigfrid di Huntington divenne uno dei tanti soldati al servizio di Lord Arthur.
Lord Petyr
00mercoledì 30 settembre 2009 14:37
Anche se non è questa la sezione, ricordo che la scadenza è stata posticipata al 4 ottobre (domenica)

Mance
00martedì 6 ottobre 2009 10:04
Hemm.... è martedì...
Lord Petyr
00martedì 6 ottobre 2009 12:54
NOTA IMPORTANTE
Considerato che:

1) il Masto ancora non ha postato

2) il Cris vorrebbe postare

3) l' Andrea vorrebbe finire il suo lavoro

Stabilisco un ultimo rinvio fino a domenica 11 OTTOBRE 2009.

Ma è l'ultima e defiinitiva data, anche per rispetto a chi ha postato per tempo...dieci giorni di proroga mi sembrano accettabili.

Dunque, c'è tempo fino a DOMENICA 11 OTTOBRE 2009 per pubblicare.

Termine ultimo e insindacabile


Mance
00martedì 6 ottobre 2009 22:51
Re: NOTA IMPORTANTE
Lord Petyr, 06/10/2009 12.54:

Considerato che:

1) il Masto ancora non ha postato

2) il Cris vorrebbe postare

3) l' Andrea vorrebbe finire il suo lavoro

Stabilisco un ultimo rinvio fino a domenica 11 OTTOBRE 2009.

Ma è l'ultima e defiinitiva data, anche per rispetto a chi ha postato per tempo...dieci giorni di proroga mi sembrano accettabili.

Dunque, c'è tempo fino a DOMENICA 11 OTTOBRE 2009 per pubblicare.

Termine ultimo e insindacabile





...ma io ho postato

Asha regina di ferro
00sabato 10 ottobre 2009 12:31
Avevo rinunciato a partecipare, perchè sono concentrata sui disegni, ma quando ieri mi sono letta un po dei vostri racconti, mi sono venute alcune idee e ho iniziato a scrivere di getto...se ho letto bene dovrei essere in tempo..


La sala comune
(La rabbia)


“Perché non arrivano quelle bastarde ingrate???” la donna, ogni secondo sempre più infuriata, camminava avanti e indietro per la stanza bianca, arredata con quattro poltroncine bianche, disposte in cerchio al centro della stanza. Le tende nere erano distese a coprire le finestre, impedendo la vista dell'ambiente esterno, e lasciando la stanza nella semi oscurità. Dieci minuti prima aveva parcheggiato fuori la sua moto ed era entrata nella sala comune, senza trovare nessuno.
“Mi sfruttano e poi non mi rispettano, quelle quattro stronze lobotomizzate!” si ricordò che avrebbe dovuto dire tre, non quattro, “quelle tre stronze lobotomizzate”. Il gruppo era di quattro persone e lei era quarta. Rendersi conto di essersi compresa, con le proprie stesse parole nelle stronze lobotomizzate, le procurò ulteriore fastidio. Continuava a camminare a lunghi passi coprendo in pochi secondi la distanza da una parete all'altra, i tacchi degli stivali in pelle che martellavano i pavimento. “...le bastarde ingrate!”



Altrove
(La memoria)


La collina innevata dava direttamente sul mare. La neve aveva da poco smesso di cadere e sarebbe stata immacolata se non fosse stato per la scia di orme lasciata dalla ragazza. La profondità delle orme era dovuta al peso del valigione nero che la ragazza portava con se, usando entrambe le mani e facendo una gran fatica. Ad un tratto lei si fermò, guardandosi attorno a scrutare il paesaggio. L'aria era fresca e pungente, piena dell'odore della neve, l'odore della purezza, l'odore dell'infanzia. Quell'odore le fece venire le lacrime agli occhi. Una folata di vento cercò invano di rubarle il cappello nero, fatto a tuba, che lei trattenne con una mano. La brezza le faceva vibrare il pizzo bianco al collo e ai polsi di cui era ornato il suo vestito nero. “Due notizie: una buona e una cattiva” disse la ragazza guardandosi attorno. “quella buona è che stamattina ho messo gli stivali” lo sguardo della ragazza si spostò dalla distesa di neve alla sua destra alla distesa del mare alla sua sinistra e decise che avrebbe continuato a camminare lungo la costa “quella cattiva è che mi sono persa”.



Altrove
(La forza)



Sulla poltrona in velluto rosso, sistemata davanti a un fuoco che ardeva in un camino in marmo pregiato rosso, stava seduta una donna avvolta in un vestito di splendente seta rossa. Nonostante il camino acceso nella stanza, l'atmosfera era di ghiaccio. L'impressione era che ciò fosse dovuto allo sguardo della donna che aveva un che di inesorabile, di impietoso e, soprattutto, decisamente glaciale. La donna sorseggiava sorridendo vino rosso da un calice di cristallo.
Di fronte al lei stava la bella Imago, una ragazza dalla pelle candida e i lineamenti aggraziati e regolari, i lunghi e vaporosi capelli neri come le ali di un corvo, le sensuali labbra rosse come una ciliegia matura. La bellezza di Imago faceva girare tutti per la strada, mentre lei ritraeva lo sguardo timidamente, ma non era sempre stato così. Anni prima, Imago era più bruttina. All'epoca, spesso si tratteneva in compagnia di una ragazza spettinata, di nome Sorrow, che vestiva un lungo e ampio cappotto grigio. Insieme ascoltavano rock, fumavano e bevevano rubando dall'armadietto dei liquori. Spesso si scambiavano poesie tristi che non facevano leggere a nessun'altro. Le due ragazze erano talmente unite da essere come una.
Ma quando aveva conosciuto LUI, Imago era cambiata, e da allora la sua grande amica e confidente col cappotto grigio non si era più fatta vedere, probabilmente si era trasferita lontano.
Imago ricordava la sua amica perduta, e questo donava al suo sguardo quell'ombra di tristezza che la rendeva ancora più affascinante agli occhi altrui.
La donna seduta sulla poltrona rossa somigliava ad Imago, ma nello stesso tempo era molto diversa. Anche lei aveva grande fascino, ma per lei il fascino era uno strumento da tenere affilato, come una lama letale, che la rendeva ancora più forte al momento del bisogno, dato che lo usava per ammaliare e nello stesso tempo soggiogare.
“E fidati di me, sciocca.” tornò a parlare Petra Strength, la donna fasciata di rosso, con tono tagliente “Ricordati che senza di me non saresti nessuno.”
“Come potrei dimenticarlo? Non fai che ripeterlo a tutti...Adesso se mi facessi l'onore di finire il tuo prezioso vino e seguirmi per raggiungere Rage nella sala comune, te ne sarei grata. Hollow è inaffidabile, perciò non credo che sarà già arrivata, quindi Rage ci starà aspettando da sola. A quest'ora sarà imbestialita”.
“Stai tranquilla piccola” disse Petra sorridendo “finché starai vicina a me sarai al sicuro”.
“Sembri fin troppo sicura di te...”.
“Ovvio che lo sono: nessuno, Imago, nessuno è più forte di me”.



La sala comune
(L'immagine)


“Dove cazzo eravate, deficienti??? E' da una cazzo di ora che vi aspetto, cazzo!” Rage raccolse il cappello nero da cowboy che era scivolato per terra mentre nell'attesa dormiva su una delle quattro sedie bianche con la testa riversa all'indietro, e il giubbotto da motociclista aperto. Quando Petra e Imago erano entrate, si era svegliata di soprassalto.
“Lo sappiamo, o mia raffinata sorella” disse Petra. Le tre donne, sembravano diverse e nello stesso tempo uguali.
“Rage, ci dispiace” intervenne Imago “noi stavamo parlando della questione negli alloggi di Petra...”
“Ah si? Ah si? Bene! Stavano parlando loro! Allora tutto bene, cazzo... Sapete dove potete mettervela la vostra bella chiacchierata? Eh? Sapete dove?” Si era infervorata e aveva caldo, si tolse il giubbotto e lo scaraventò sulla sedia, portando alla luce numerosi tatuaggi di dubbio gusto.
“Ti ha appena detto che le dispiace, Rage” riprese Petra “Per favore sta zitta, sorella, così possiamo incominciare. E' già tanto che ti permettiamo di entrare qui, dal momento che non conti niente: lo sappiamo che tu compari solo per una settimana al mese”. A quelle parole uno tsunami di odio investì Rage da capo a piedi letteralmente accecandola. Le sue pupille scomparvero e lei estrasse dai pantaloni una pistola da gangster. “si, la settimana del mese in cui morirai, stronza” le disse schiacciandole la canna contro la gola.
“Ehm ragazze...no! Non adesso! aiuto! Sta succedendo di nuovo!!” era la voce disperata di Imago. La ragazza stava barcollando e sudando...Sembrava diventare sempre più eterea, trasparente. Le erano già capitati episodi simili e tutti si erano risolti quando il malore se ne era andato cosi come era venuto, senza un motivo apparente. Ma questo attacco sembrava più forte.
“Cazzo...oh cazzo....” Rage mollò la presa su Petra, mentre guardava incredula quello che stava succedendo a Imago. La faccia della donna stava scomparendo per lasciare il posto ad una versione dello stesso volto imbruttito, ingrassato e invecchiato di almeno 30 anni.
“Cosa mi sta succendo???!!” diceva quel volto estraneo, con la voce di Imago, incrinata dalla paura. “Petra, aiutami! Aiutatemi!” le due donne assistevano a quella metamorfosi impotenti, senza sapere cosa fare.
“Scusate il ritardo...mi ero persa...”
Petra si avvicinò a Imago e le prese la mano “Stai tranquilla piccola, vedrai che passerà” ma Petra non sapeva se stava dicendo la verità.
“E' questo?... E' per questo che ci hai convocate tutte nella sala comune?” chiese Rage.
“Si” rispose Petra. “Le succede da qualche mese...Dobbiamo capire qual è la causa di queste crisi”
“Ma che cazzo...che cazzo è questa roba??”
“Ehm...ho detto...scusate il ritardo” .
“Non lo so...finora non era mai....non era mai...invecchiata prima...”
“Sembra che vada un po meglio adesso!!” Rage aveva notato che a diventare eterea e trasparente era ora la faccia vecchia, mentre stava piano piano ricomparendo il solito volto aggraziato e giovane di Imago.
“La crisi sta passando!” disse Petra.
“Lo credo, ho richiuso la valigia!”
Petra, Rage ed Imago si voltarono all'unisono verso la porta. Nessuna aveva prestato attenzione al fatto che Hollow era entrata nella sala.
“Che cazzo c'entra la tua cazzo di valigia?” disse Rage, irritata dalla vocina innocente di Hollow.
“La valigia dei ricordi!” cinguettò Hollow “se apro la valigia, Imago sta male. Succede perché ricorda LUI che non la vede quando si fa bella per uscire e altra roba così”
“Allora perché non buttiamo al fiume quella tua valigia del cazzo?”
“Sei matta???” Hollow era scioccata da quelle parole. “No, no, no, la soluzione è un'altra”. Hollow iniziò a frugare nelle innumerevoli tasche, di varie forme e dimensioni, che coprivano il suo vestito nero, orlato di pizzi.” Ma dov'è, accidenti....” Hollow continuava a rovistare nelle tasche sempre più stizzita, guardando anche in quelle in cui aveva già guardato. “Oh che sciocca!” disse ad un certo punto. Si tolse il cappello e ne estrasse una candela, già accesa. La fiamma emetteva una fioca luce.
“Eccola! questa può aiutarci! ma non posso usarla io, ho paura. Fallo tu, ci vuole una persona forte!” mise la candela in mano a Petra.
“Fare cosa?” chiese lei.
“Beh devi cercare no?”
“Cercare cosa?”
“Beh la soluzione, è ovvio!” Hollow scosse la testa esasperata.
Non sapendo bene che fare, Petra Strength, iniziò ad esplorare gli angoli bui della stanza immersa nell'ombra a causa delle scure tende tirate alle finestre, finché non vide una porticina di legno vecchio, tutto rovinato. Spinse la maniglia e la aprì: dentro c'era una quinta ragazza, legata e incatenata al muro, avvolta in un velo grigio, quasi un sudario, e coperta di ragnatele e sporcizia accumulatasi negli anni.
“Ma questa è...Sorrow!” disse non credendo ai propri occhi. Sentendo quel nome Imago si avvicinò. La visione della vecchia amica ridotta in quello stato era troppo. Le tende nere si schiusero, e la stanza fu inondata di luce. LEI si svegliò.




Alla luce del sole


“Amore, ho fatto un'incubo” Suo marito era sdraiato nel letto vicino a LEI, nel dormiveglia.
“Quale incubo tesoro?” mugugnò LUI, e sbadigliò.
“Non ricordo...Amore, tu mi trovi brutta?”
“mmmmh” LUI odiava quelle domande.
“Io mi sento brutta e mi sento...triste. Non mi sentivo così dall'adolescenza” le tornò in mente l'angosciosa visione della ragazza grigia, incatenata, ridotta per anni all'immobilità. Non riuscì a trattenere l'immagine.
“Si mi ricordo” disse LUI “ E' stato proprio allora che mi sono innamorato di te, mi piaceva tanto il tuo faccino triste”.
LEI si stupi:“Non me lo avevi mai detto!” lo guardò sorpresa, e poi sorrise. Da qualche parte dentro di lei, due persone tornavano ad essere come una.




Mance
00sabato 10 ottobre 2009 13:37
Prego Tytos però di venirne a una e dare una scadenza fissa e rispettarla.
Lord Petyr
00domenica 11 ottobre 2009 17:14
Come avevo già scritto, la scadenza è oggi ed è inderogabile.

Da domani si votano i lavori.

Asha regina di ferro
00mercoledì 14 ottobre 2009 11:24
Quindi si può cominciare a votare?
Lord Petyr
00mercoledì 14 ottobre 2009 22:45
Come annuciato, il termine per partecipare alla gara è scaduto.

E' tempo di voti!!!!

Si vota con un solo punteggio, in scala da 1 a 10, seguito da un piccolo commento, così che oltre a divertirci ci si possa anche migliorare per la prossima gara.

Asha regina di ferro
00giovedì 15 ottobre 2009 18:25
Lord Petyr, 14/10/2009 22.45:


Si vota con un solo punteggio, in scala da 1 a 10, seguito da un piccolo commento, così che oltre a divertirci ci si possa anche migliorare per la prossima gara.




Mi sembra giusto.
Allora comincio io:


Styr 8
Avrei curato di più la parte iniziale che mi sembra troppo semplice: dato che i fatti descritti filano lisci come l'olio, forse si potevano descrivere in meno righe e si sarebbero cosi potuti aggiungere più esempi concreti della crudeltà del lord oltre che quello della bambina. Tuttavia il voto alto è dovuto al colpo di scena finale assolutamente originale. l'imprevedibile ribaltamento del punto di vista mi ha spiazzata e mi è piaciuto veramente.

Lady Verytas
7,5
Non vi aspettavate un racconto così da una donzella eh? Non so cosa scrivere se non che non è il mio genere, ma che l'ho apprezzato comunque per l'originalità e il coraggio. L'unica cosa forse che manca è un finale un po' meno aperto, anche se non è obbligatorio.

Maestro Aemon
9
Ecco questo è il mio genere. complimenti per la tematica scelta, è capitato anche a me di vedere strane cose con la coda dell'occhio sempre nello stesso punto lungo la strada di casa mia. questi fenomeni tra il paranormale, il fantastico e il romantico mi affascinano molto.

Mance
8
Bella la tematica e il colpo di scena finale, tragico e dannato il destino del protagonista che rovina ciò che tocca. avrei insistito di più sullo spiegare l'origine e il contenuto del sacco (seppur non svelandone i poteri all'inizio ovviamente) e sulla missione e sull'essere che compare alla fine. Cosi resta tutto un po' troppo sul vago ed è un peccato.

Balmo 7
bella l'idea di un oracolo che cambia volto e che alla fine in qualche modo assume le sembianze del protagonista. Forse anche questo troppo vago e con troppo pochi esempi concreti sulle difficoltà superate e sulla ricerca del protagonista. Consiglio per la prossima gara: forse potresti nascondere la tematica "esistenziale" dietro la ricerca di qualcosa di più concreto, che però lascia trasparire solo qua e là il suo risvolto esistenziale, che tuttavia rimane lo scopo di tutta la trama (come per esempio nella bellissima saga di Elric).

Benjen Stark 7
Sarebbe stato un voto più alto ma purtroppo io soffro molto la lettura non scorrevole, sono dovuta andare sul vocabolario 1-2 volte per parole di cui si potevano usare sinonimi più comuni (es: azzurri per glauchi). l'ambientazione post apocalittica e la folla inebetita dal terrore e dalle violenze subite mi ricordano Ken il Guerriero, mentre il protagonista trasformato in bestia mi ricorda Berserk, influenze più che lecite comunque.


Ser Andrew 6 incompleto


ho editato il post per rendere più comprensibili i commenti
Jon_Re
00giovedì 15 ottobre 2009 21:58
Quanto tempo ci sarà per votare? Perchè io non so quanto impiegherò a leggere il tutto...
Mance
00venerdì 16 ottobre 2009 22:05
Re:
Asha regina di ferro, 15/10/2009 18.25:



Mi sembra giusto.
Allora comincio io:


Mance
8
Bella la tematica e il colpo di scena finale, tragico e dannato il destino del protagonista che rovina ciò che tocca. avrei insistito di più sullo spiegare l'origine e il contenuto del sacco (seppur non svelandone i poteri all'inizio ovviamente) e sulla missione e sull'essere che compare alla fine. Cosi resta tutto un po' troppo sul vago ed è un peccato.





Eh si lo so... ma era un estratto del racconto più lungo che avevoi scritto... per stare nei parametri della gara ho dovuto segare... cosa che tra l'altro odio...
Asha regina di ferro
00domenica 18 ottobre 2009 11:43
Re: Re:
Mance, 16/10/2009 22.05:




Eh si lo so... ma era un estratto del racconto più lungo che avevoi scritto... per stare nei parametri della gara ho dovuto segare... cosa che tra l'altro odio...



capisco...lo immaginavo


Maestro Aemon
00martedì 20 ottobre 2009 23:28
I miei voti:
I ribelli di Archon - 8
Mi è piaciuta molto l'idea del racconto dalla parte dei vinti. Avrei preferito qualche dettaglio in più nella fase dell'attacco, la conquista del grosso del castello è stata un po' troppo semplice dal mio punto di vista, ma nel complesso il tutto risulta molto ben descritto.

Un doloroso cammino - 7
Descritto molto bene, è riuscito a conivolgermi anche se così breve. Non mi è piaciuto molto il finale, sembra tagliato per restare nei limiti imposti. Perchè il Negromante dovrebbe fare tutta quella fatica quando poteva prendersi direttamente la sacca? O mi è sfuggito qualcosa?

L'oracolo - 5
Mi ha catturato all'inizio, per poi perdermi per strada.
Carina l'idea del laghetto e dei frutti, ma dalla nebbiolina in poi mi sapeva di cosa già letta. Non mi ha convinto molto nemmeno il dialogo e le risposte dell'oracolo.

La sala comune - 5
Descrizione un po' ripetitiva all'inizio del racconco che prosegue piuttosto tortuoso.
Non mi convince il finale, ma l'idea nel complesso mi è piaciuta, specialmente la divisione delle parti.

Adunanza - 6
L'utilizzo di così tanti termini ricercati rallenta un po' la scorrevolezza della lettura, spezzando il ritmo, anche se sono adatti all'essere che li utilizza.
Dato che ti rimaneva ancora parecchio spazzio mi sarebbe piaciuto leggere qualche dettaglio in più sulla metamorfosi e sul combattimento, ma soprattutto sulla scena finale, quando rapisce il bambino.

La prima battaglia - 4
Un'interessante premessa che però non ci racconta molto. Aspetto il seguito magari per la prossima gara.

Non c'è nessuno - 6
Ben scritto e coinvolgente. Avrei preferito un finale con una svolta, ma questo non ha determinato il voto. Invece l'ho un po' ridotto perchè hai usato il doppio dello spazio a disposizione e sparsi nel testo ci sono alcuni errori ed omissioni che rallentano il ritmo e la scorrevolezza.
Balmo
00venerdì 23 ottobre 2009 21:06
Posto anche i miei voti. Premetto però che le storie in generale mi sono piaciute un po' tutte e che mi ha colpito il fatto che ci siano state tante idee tutte una diversa dall'altra e alcune anche molto originali!


Styr: 7,5
storia lineare e un po' essenziale, lodevole varietà di personaggi; molto bello il colpo di scena finale!

Lady Veritas: 6,5
l'atmosfera è un po' da racconto di Stephen King, mi piace l'idea e la caratterizzazione dei personaggi, la descrizione dei pensieri del protagonista la tensione che si viene a creare. Anche il linguaggio mi pare adeguato. Però dopo un po' il filo logico si perde un po', non si capisce bene dove vada a parare. Inoltre il racconto perde qualcosa per la lunghezza che mi pare eccessiva (solo per i parametri che ci siamo dati in questa gara ovviamente).

Aemon 6,5
Idea carina, ma non c'è molta azione o particolari sviluppi nella storia.

Mance 7,5
Storia carina, semplice concisa e con una ambientazione un po' fantasy e un po' noir che apprezzo. Forse qualche ripetizione e qualche cosa che si poteva spiegare meglio ma nel complesso mi è piaciuta.

Benjen 7
Bello il linguaggio e il clima epico, un po' scarna forse la trama.

Ser Andrew 5
Come hai fatto notare anche tu è solo l'inizio di una storia...facci sapere il seguito!

Asha 8
Bella, in particolare mi è piaciuta l'idea e il metodo di narrazione.


Faccia da cavallo
00martedì 27 ottobre 2009 15:38



NON C’E’ NESSUNO.Voto 7,5: Ho trovato ben fatti i personaggi soprattutto Fumiko. Ho apprezzato anche il finale dove lasci intendere che Ken dovrà convivere per sempre con i suoi incubi.

CONFINATI.Voto 8.5: Davvero ben scritta e toccante.

UN DOLOROSO CAMMINO.Voto 6.5: Bella l’idea e il clima incalzante, ahimè il finale troppo rapido anche se è un problema generale visto la necessità delle 3 pagine.

ADUNANZA.Voto 8: Mi è piaciuto molto come è scritto, il linguaggio ricercato dell’Osservatore (anche se forse un po’ preso da Silver Surf) che eleva un genere il fantasy che ultimamente ha avuto un boom e, che spasso risente di un linguaggio rivolto ai ragazzi.

LA PRIMA BATTAGLIA. – (parte I)Voto 5,5: Narrazione semplice e lineare, bella la caratterizzazione del comandante. Carente un po’ quella del protagonista, ma visto che è solo un cappello, lascia tutto lo spazio ad uno sviluppo.

LA SALA COMUNE.Voto 8: Devo premettere che ho trovato molto bella l’ambientazione onirica-mentale e la caratterizzazione dei vari aspetti delle personalità dell’animo della protagonista.


Complimenti a tutti.

Balmo
00martedì 27 ottobre 2009 23:46
Styr, dai un voto anche a me, qualunque sia non mi offendo :-)

Faccia da cavallo
00mercoledì 28 ottobre 2009 10:00
Scusa la svista, li ho stampati singolarmente per leggerli e il tuo mi deve essere sfuggito. Comunque:

L'ORACOLO.Voto 6,5: Mi è piaciuta molto la personificazione etera dell'oracolo.
Victarion La Piovra
00giovedì 29 ottobre 2009 17:23
Eccomi qui, quello che non partecipa mai e poi stronca con voti e critiche... quasi mi vergogno.

Scherzi a parte, faccio i complimenti a tutti vi prego di non prendere male le eventuali critiche, non sono nessuno i miei sono solo pareri di lettore. Nei vostri panni avrei di sicuro fatto peggio.
Insomma prendete ciò che ritenete giusto delle mie critiche e buttate il resto...

I RIBELLI di ARCHON 7,5
Ottimo il cambio di prospettiva del finale, forse il finale migliore tra tutti i racconti. Buona la scorrevolezza, forse si può migliorare un pò lo stile di scrittura (soprattutto nelle parti iniziali) che mi è parso un pò confusionario nella linearità temporale. Finale a parte non originalissimo come ambientazione e tematiche.


Non c'è nessuno 7
Caspita che verve! Ma è corretta l'età del profilo? Se si complimenti! Continua a coltivare la passione per la scrittura e, mi pare evidente, per l'horror! Se dico così, allora perchè un voto non eccellente? Il motivo fondamentale è che noto un pò la mancanza di originalità... tante citazioni horror, la schizofrenia un pò alla Blind Man, mostriciattoli alla gremlin... lasciano poco spazio alla sorpresa. Anche la scorrevolezza non sempre fila come dovrebbe. Decisamente buona, anche se un pò semplicistica, la caratterizzazione di Fumiko Yuki. Insomma tra un paio d'anni mi aspetto capolavori!

Confinati 9
Decisamente il migliore nel complesso. Originale, scorrevole, ben strutturato, forse un pò frettoloso il finale, magari elaborarlo un pochino di più, o trovare una spiegazione meno dettata dal caso... non so.

Un doloroso cammino 8
La storia è ben costruita, fila liscia e si legge bene, tematica non originalissima, ma con spunti particolari che accrescono la curiosità, il dolore/torpore, la memoria, la voce. Peccato, come anche altri racconti, paghi probabilmente il limite delle 3 pagine risolvendo senza approfondire il finale.

L'oracolo 7
Peccato! E' l'unica cosa che posso dire, parte bene con ottimi spunti ci sono sicuramente buone idee ma mi cade sul finale, poco incisivo, forse rasenta la banalità (senza offesa!).

Adunanza 8
Sicuramente il più difficile da leggere, e questo non aiuta. Tuttavia si vede uno scrittore esperto, con grandi proprietà di lunguaggio. Storia interessante anche se mi ricorda qualcosa di già sentito (ma recentemente quindi potresti essere originale!!!). Forse manca un pò di verve, quel qualcosa che ti spinge a leggerlo tutto d'un fiato. Ma forse è voluto ? L'osservatore è tutto sommato distaccato e non interferisce. Sarei curioso di leggere altro!


LA PRIMA BATTAGLIA – parte I s.v. (se tocca 6)
Onestamente non me la sento di votare, è dichiaratamente incompleto, seppur scritto in maniera scorrevole e si preannuncia interessante. Tuttavia non porta nulla e abbozza solo i personaggi... Insomma, se devo è un 6, l'inizio...


??? (manca il titolo!) Asha 8
Dunque conoscendo i retroscena della sua stesura posso apprezzare il fatto che sia stato costruito e scritto in un pomeriggio. Personalmente trovo originale l'esposizione del tema introspettivo-psicologico. Decisamente buone, anche se non completamente, le caratterizzazioni delle "personalità". Sicuramente romantico il finale. Con più tempo e più riletture forse si poteva sistemare qualche ingarbugliamento/errore. Se mi ritenete diparte perdonatemi giuro cerco di essere obiettivo!


Insomma ecco qui, spero che nessuno si offenda, i miei pareri sono espressi a gusto personale, quindi anche il genere va ad influire (no amo particolarmente l'horror ne il fantasy tradizionale)...

Complimenti a tutti!
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